Tom Riddle camminava con passo deciso lungo il corridoio del primo piano di Hogwarts, il viso impassibile, ma gli occhi brillavano di determinazione. Dopo anni di ricerche, la sua intuizione lo aveva portato finalmente all’ingresso della Camera dei Segreti, nascosta dietro un semplice lavandino nel bagno al primo piano. Era convinto che la Camera celasse il potere che cercava da sempre, un potere che sarebbe stato suo, e suo soltanto.
Tom non era solo un giovane studente, ma un discendente diretto di Salazar Serpeverde, fondatore di una delle case più antiche di Hogwarts. La sua discendenza gli aveva conferito la rara abilità di parlare serpentese, la lingua dei serpenti, che solo l’erede di Serpeverde poteva dominare. Era quella capacità che gli aveva permesso di identificare la Camera e che ora lo avrebbe condotto oltre.
Arrivato davanti al lavandino, Tom si inginocchiò e, con una mano che tremava leggermente per l’eccitazione, tracciò un simbolo sull’acqua stagnante. Sussurrò in serpentese una parola che nessun altro avrebbe mai potuto comprendere: “Viperelum.” Il suono strano e serpeggiante delle sue parole riecheggiò nel bagno, e subito, come se rispondesse a un comando ancestrale, il muro si aprì, rivelando l’ingresso oscuro e misterioso alla Camera dei Segreti.
Ma proprio quando Tom stava per fare il passo decisivo, un rumore proveniente dalla porta lo fece voltare. La porta del bagno si aprì, e una figura emerse nell’oscurità: il Professor Halton, insegnante di Incantesimi. Il suo volto severo e i suoi occhi scuri scrutavano l’ambiente con attenzione. Era un uomo abituato a risolvere problemi, e quella sera sembrava particolarmente preoccupato.
“Riddle,” disse il professor Halton, lanciando uno sguardo accusatorio al giovane. “Cosa stai facendo qui?”
Tom non si scompose. Sapeva che quella figura avrebbe potuto essere un problema, ma non aveva tempo da perdere. Sollevò la bacchetta con una freddezza che non tradiva il minimo segno di emozione. “Non è affar tuo,” rispose, il tono glaciale.
Con un movimento rapido e quasi impercettibile, Tom pronunciò un incantesimo: “Confundus.” La magia colpì il professor Halton, ma piuttosto che agire come un comune incantesimo di confusione, il suo effetto fu quello di disorientare l'insegnante, facendolo perdere il filo del pensiero. Il professor Halton, colto dalla vertigine magica, vacillò un istante e, con un’espressione confusa, mormorò: “Ah... certo... forse dovrei... andare via.”
Halton si girò, barcollando, e si avviò verso l’uscita, senza mai accorgersi dell’ingresso che si stava rivelando. Tom non gli prestò nemmeno un secondo sguardo. La sua mente era ormai concentrata sull’obiettivo finale.
Quando la porta si chiuse dietro il professor Halton, Tom si avvicinò alla soglia della Camera dei Segreti. “Ora,” mormorò tra sé, un sorriso sottile che sfiorava le sue labbra. Entrò nel buio, pronto a scoprire ciò che il destino gli aveva riservato.
Tom Riddle avanzava a passi lenti e misurati lungo il vialetto che conduceva alla villa dei Riddle. La dimora di suo padre, Tom Riddle Senior, era avvolta da una quiete insolita, ma per Tom quella casa era il simbolo del tradimento, un luogo che non lo aveva mai accolto. Sua madre, Merope Gaunt, era morta dopo averlo dato alla luce, e da quel momento lui era stato abbandonato alla sua solitudine. Ora, però, dopo aver schiantato suo zio Orfin nella baracca, Tom era pronto ad affrontare il resto della famiglia, e soprattutto suo padre.
Tom, con il suo aspetto affascinante e inquietante, era il ritratto perfetto di suo padre. La stessa bellezza gelida, gli stessi lineamenti forti e le stesse espressioni imperturbabili. Camminava con grazia, ma ogni passo era carico di intenzioni oscure.
Quando finalmente varcò la soglia della villa, i suoi nonni paterni lo accolsero con un sorriso che tradiva una felicità sconosciuta. La loro sorpresa nell'incontrare il nipote che avevano tanto desiderato di vedere era evidente, ma Tom non sentiva nulla. Li guardò senza emozioni, sentendo solo un brivido di disprezzo per il mondo che lo aveva rifiutato.
"Tom! Non ci posso credere! Sei davvero tu!" esclamò la nonna, gli occhi lucidi di commozione.
"Siamo così felici di vederti, finalmente," aggiunse il nonno, mentre entrambi si avvicinavano per abbracciarlo, ma lui fece un passo indietro, mantenendo la distanza.
"Mi fa piacere vedere che siete in buona salute," rispose Tom con un sorriso che non raggiungeva mai gli occhi, mentre osservava l'ingresso della villa. I suoi occhi scivolarono rapidamente su suo padre, che si trovava nel soggiorno, impegnato a leggere un libro.
Tom Riddle Senior sollevò gli occhi, stupito dalla presenza di suo figlio, che non aveva mai conosciuto. Il suo volto divenne incerto, e per un attimo, Tom poté vedere il volto di un uomo che non aveva mai avuto il coraggio di affrontare le proprie azioni. Ma poi la sorpresa si trasformò in un sorriso, sebbene fosse fragile e pieno di tensione.
"Tom?" chiese suo padre, la voce incerta. "Sei davvero tu? Non... non avevo mai pensato che saresti venuto."
"Padre," rispose Tom con voce morbida, ma carica di veleno. "Sono venuto a vedere come stavate. Dopo tutto, io sono figlio di questo sangue."
I nonni guardarono Tom con occhi pieni di speranza e affetto, senza sapere che quella figura, tanto affascinante quanto pericolosa, nascondeva un cuore freddo e indifferente. Non sapevano che Tom non era più un bambino, ma un giovane con il potere di distruggere tutto ciò che gli si fosse messo davanti.
"Volevo cercart," mentì Tom Riddle Senior, ma la sua voce tremava. "Volevo vederti, ma... tua madre..." La sua voce si fermò, come se avesse paura di proseguire.
Tom lo guardò con occhi gelidi. "Mia madre è morta," rispose, la voce ferma. "E tu mi hai abbandonato. Non ti sei mai preoccupato di me, nemmeno quando eri ben consapevole di cosa sarebbe accaduto. Lei è morta per colpa tua."
Un silenzio pesante calò nella stanza, mentre i nonni di Tom cercavano di parlare, ma le parole non uscivano. Il giovane Riddle continuò a osservare suo padre, un misto di disprezzo e vendetta bruciava nei suoi occhi.
Poi, senza preavviso, Tom alzò la bacchetta. I suoi nonni, che lo guardavano senza comprendere cosa stesse per accadere, rimasero paralizzati dal terrore. "Avada Kedavra," urlò Tom, e la luce verde illuminò la stanza, colpendo il corpo di Tom Riddle Senior. Il padre cadde senza un suono, il suo volto deformato dall'incredulità e dalla paura.
"Non ti ho mai perdonato," sussurrò Tom, mentre guardava il corpo del genitore senza alcuna emozione.
I nonni, ora terrorizzati, cercarono di fuggire, ma Tom li eliminò con lo stesso gesto rapido, la bacchetta ancora in mano. Un altro incantesimo, e i corpi di entrambi crollarono, senza che avessero avuto il tempo di dire una parola.
Era finita. La casa dei Riddle ora apparteneva a lui, ma il vero premio era altrove.
Con passo deciso, Tom si voltò e lasciò la villa, ma non per andare lontano. Tornò alla baracca dove suo zio Orfin giaceva ancora svenuto. Si avvicinò a lui, il volto privo di emozioni. Con un gesto rapido, Tom posò la mano sulla testa di Orfin e, con l’incantesimo “Obliviate”, modificò la memoria del vecchio uomo, facendogli credere che fosse stato lui, Orfin, a uccidere i tre nella villa. Tom osservò il risultato con soddisfazione, poi si avvicinò al corpo di Orfin e, con una rapidità sorprendente, gli rubò l’anello dei Gaunt.
L'immortalità era ormai sempre più vicina.
Il buio della stanza era opprimente, come se la stessa aria si fosse condensata in una nebbia fredda e spessa, respirabile solo per chi era abituato a vivere nell’ombra. Voldemort, nel suo corpo deforme, si muoveva lentamente verso Nagini. La pelle, ora più pallida e fragile, si tirava intorno alle ossa, quasi fossimo di fronte a un cadavere che cammina. Il suo volto, una maschera di puro terrore, non somigliava più all’uomo che una volta aveva camminato tra gli uomini. Non aveva più l'aspetto della persona che era stato, ma l’essenza di un’entità malvagia e sovrumana, più vicina alla morte che alla vita.
I suoi occhi, tuttavia, erano fermi e lucidi, pieni di un'intelligenza tagliente. "Nagini..." sibilò, avvicinandosi al serpente, il quale stava fermo in attesa, consapevole del destino che lo attendeva. "Tu diventerai parte di me, e io ti piegherò alla mia volontà."
Nagini, che solitamente era una creatura potente e libera, si accovacciò silenziosamente, come se fosse già consapevole della propria fine. Il suo sguardo giallo era fisso su Voldemort, ma non c'era emozione nei suoi occhi, solo una quieta rassegnazione.
Codaliscia, il suo servo più codardo, tremava nell'angolo della stanza. L’odore della paura era pungente nell’aria, ma Voldemort non si curava più della sua presenza. Quello che stava per fare non riguardava più nessun altro se non lui. Non c’era più spazio per la debolezza, né per il rimorso. Solo il desiderio di raggiungere la perfezione, l’immortalità.
Voldemort sollevò la bacchetta, che brillava di una luce oscura e nera, un contrasto stridente con il verde della morte che solitamente accompagnava i suoi incantesimi. "Vincula animam," mormorò, e le parole stregate risuonarono nella stanza. La luce nera si riversò dalla bacchetta, avvolgendo Nagini in una spirale di potere. Il serpente emise un sibilo, il suo corpo si contorse, ma non resistette. La magia che lo pervadeva era inevitabile.
Il serpente non morì, ma la sua volontà fu spezzata. La sua anima venne frantumata, legata indissolubilmente a quella di Voldemort, diventando il suo ultimo Horcrux. La creatura, pur continuando a vivere, era ora un'estensione del potere di Voldemort, la sua volontà era la sua. Il serpente non era più libero, ma un semplice strumento del padrone che lo controllava con una forza che annientava ogni pensiero autonomo.
Codaliscia, sbalordito e terrorizzato, non osò muoversi. La scena era troppo per lui. Non riusciva a concepire quanto Voldemort stesse cambiando, quanto fosse diventato diverso, mostruoso. La sua pelle era ora pallida come la cera, ma il suo corpo sembrava quasi più lungo, più snodato, come se le ossa stessero mutando in una forma che sfidava le leggi della natura. Il volto di Voldemort era quasi irriconoscibile, le sue linee si erano fatte più nette, più spigolose, i suoi occhi non erano più solo quelli di un uomo, ma quelli di una creatura sovrumana, avvolta nell’oscurità. Il corpo stesso sembrava essere meno umano ad ogni passaggio della sua magia.
"Non capisci, Codaliscia," disse Voldemort, la sua voce ora più tagliente, più fredda. "Ogni Horcrux che creo mi rende più potente... ma ogni frammento che strappo dalla mia anima mi cambia. Mi fa diventare qualcosa di diverso... qualcosa che non è più umano. L'immortalità non è mai stata un processo così facile."
Codaliscia, incapace di rispondere, lo guardava con occhi pieni di paura. Quello che una volta era stato un uomo, una figura di bellezza e di potere, ora era una creatura tenebrosa, un mostro camuffato da uomo. Il volto di Voldemort sembrava aver perso ogni traccia di umanità, la pelle come una maschera di cera che si scioglie lentamente sotto l’azione di un fuoco invisibile.
"Ciò che vedi, Codaliscia, è il prezzo del potere assoluto. Ogni parte della mia anima che frantumo mi avvicina alla perfezione. Eppure... divento sempre meno umano. Ma non importa. Sono diventato ciò che dovevo diventare. Un'entità immortale."
Il serpente, ormai sotto il completo controllo di Voldemort, si sollevò e strisciò accanto al suo padrone, i suoi occhi gialli ormai svuotati di qualsiasi volontà. Si muoveva solo per ordine di Voldemort, la sua anima ormai perduta. La magia nera che l'aveva invasa l'aveva trasformato, piegandolo alla volontà di chi lo possedeva. Nagini non sarebbe più stato solo un serpente, ma un simbolo vivente dell'immortalità di Voldemort.
"Tu sei il mio ultimo Horcrux," continuò Voldemort, con un sorriso di soddisfazione, ma la sua voce tradiva una profonda instabilità, come se la sua stessa essenza fosse sull’orlo di un collasso. "Ora, nulla mi potrà fermare. Ma anche la perfezione ha un prezzo, Codaliscia. E io l’ho pagato."
Codaliscia guardava in silenzio, comprendendo che Voldemort, pur essendo diventato l'incarnazione del potere oscuro, stava pagando il prezzo della sua disumanizzazione. Ogni nuova parte della sua anima che veniva separata lo faceva avvicinare sempre di più all’oggetto del suo desiderio, ma anche al mostro che era destinato a diventare. E, con l'ultimo Horcrux completato, Voldemort non solo si era avvicinato all’immortalità, ma si era trasformato in qualcosa che non aveva più nulla di umano, la sua esistenza ormai legata solo alla magia oscura che governava.
L'immortalità era sua, ma la sua anima, ormai frantumata e spezzata, era condannata a vivere per sempre, in un corpo che non sarebbe mai più stato veramente vivo.