Cadmus Peverell camminava a passo deciso lungo il sentiero montano che si snodava tra le cime di montagne innevate, la sua mente consumata dal dolore. La morte di Isolt, la donna che aveva amato con tutto il cuore, lo aveva ridotto a un guscio vuoto, un uomo spezzato. Aveva cercato risposte in ogni angolo del mondo magico, ma nessuna magia era riuscita a restituirgli ciò che aveva perduto. La disperazione lo aveva spinto a compiere un viaggio solitario verso luoghi lontani e proibiti, in cerca di qualcosa che potesse sfidare la morte stessa.
Dopo mesi di ricerche, giunse in un angolo remoto dell’Asia, una valle avvolta da un’eterna nebbia, nascosta tra montagne che nessun altro aveva mai osato attraversare. La leggenda parlava di una roccia che cresceva solo in quel luogo, una pietra che si diceva avesse poteri misteriosi, capace di compiere atti impossibili, ma nessuno aveva mai avuto il coraggio di esplorarne i segreti.
Cadmus, però, non temeva nulla. La morte gli aveva già portato via tutto, non aveva più nulla da perdere. Quando il suo sguardo si posò su quella roccia nera, che luccicava come una stella sotto il cielo grigio, sapeva che il suo destino stava per compiersi.
Si avvicinò lentamente, la mano tremante mentre sfiorava la superficie ruvida. La pietra sembrava viva, pulsante di un potere arcano che lo attrasse irresistibilmente. Senza indugi, estrasse la sua bacchetta e pronunciò incantesimi antichi, ma nulla sembrava rispondere. Era come se la roccia stessa stesse osservando la sua frustrazione, attendendo il momento giusto per rivelarsi.
E fu allora che accadde qualcosa di incredibile. La roccia tremò sotto le sue dita, e un fruscio, sottile come un sussurro, attraversò l’aria. Cadmus sentì una fitta al petto, come se il tempo stesso fosse stato spezzato. La pietra si aprì, rivelando un nucleo luminoso che si rifletteva nei suoi occhi. Una luce dorata e calda, come il sole al tramonto, lo avvolse, e in quel preciso istante capì che la sua ricerca non era stata vana. Aveva trovato ciò che cercava.
Con un gesto rapido, afferrò il nucleo e lo modellò con la sua bacchetta, concentrando tutta la sua potenza in quella creazione. La luce svanì lentamente, e al suo posto rimase una pietra, semplice eppure straordinaria, che sembrava pulsare con una vita propria. La Pietra della Resurrezione.
Cadmus sorrise, ma il sorriso si spense quando la visione di Isolt apparve davanti a lui, come un fantasma sfocato. La sua amata gli sorrideva, ma il suo volto era triste, come se sapesse qualcosa che lui non riusciva a comprendere. «Quello che hai creato non ti restituirà ciò che hai perduto», le sentì dire, la sua voce portata dal vento. «Non puoi sfuggire alla morte, Cadmus. Non puoi fermare il destino.»
La visione svanì in un attimo, lasciandolo solo, con la pietra in mano e un nuovo peso sul cuore. La verità era che, pur avendo il potere di riportare indietro i morti, Cadmus non sarebbe mai stato in grado di fermare il dolore. La pietra non poteva resuscitare ciò che era andato perduto, ma solo evocare un’ombra di ciò che era stato. Aveva fatto ciò che voleva, ma la magia non era mai così semplice. La morte non poteva essere elusa. Eppure, in qualche modo, Cadmus si sentiva più vuoto che mai.
In quel momento, giurò di non usare mai più la pietra, comprendendo che, anche se poteva evocare i morti, non avrebbe mai restituito loro la vita vera.
Il primo dono della morte era nato, ma portava con sé una lezione che solo il tempo avrebbe potuto insegnargli.
Ignotus Peverell avanzava silenzioso tra le foreste imponenti della Norvegia, respirando l'aria fredda e pungente. Da settimane vagava in queste terre, affascinato dalle storie dei guerrieri vichinghi, uomini che avevano solcato mari impetuosi e sfidato le forze della natura. Tuttavia, ciò che più lo incuriosiva erano le leggende legate agli spiriti antichi che proteggevano queste terre, figure misteriose in grado di muoversi invisibili agli occhi dei mortali.
Ignotus, a differenza dei suoi fratelli, era un uomo prudente e di umiltà rara. Mentre Cadmus cercava di piegare la morte e Antioch ambiva al potere assoluto, lui desiderava soltanto una via per scivolare inosservato, un modo per sfuggire alla violenza e all’inevitabilità della morte. Non temeva la fine, ma neppure la cercava. Voleva vivere in pace, protetto dai pericoli che minacciavano chi osava troppo.
Durante il suo viaggio, giunse ai piedi di una montagna dove, secondo una leggenda locale, si nascondeva una caverna sacra che brillava di una luce divina, nota solo a chi aveva un cuore puro e un animo umile. Fu lì che percepì una strana energia, come una melodia lontana che lo invitava ad avvicinarsi. Decise di seguire quel richiamo, i suoi passi lo guidarono in un sentiero nascosto tra le rocce, fino a una fessura appena visibile sulla parete della montagna.
La caverna si aprì davanti a lui come un santuario di luce, un luogo di una bellezza paradisiaca. Mentre avanzava, i suoi occhi si abituarono lentamente alla luminosità soffusa e calda che sembrava provenire dalle pareti stesse, in una danza di riflessi dorati e argentei. Un silenzio profondo, quasi sacro, avvolgeva ogni cosa, come se il tempo avesse smesso di scorrere.
Al centro della caverna, su una piattaforma naturale di pietra, vide ciò che stava cercando. Un sottile drappo, leggero come il respiro di un fantasma, riposava lì, piegato in modo perfetto. Ignotus si avvicinò, toccando con reverenza quella stoffa impalpabile. Era un materiale unico, né seta né cotone, ma qualcosa di quasi immateriale, che sembrava dissolversi sotto le dita, sfuggente come la nebbia.
«Questo è il dono della protezione,» mormorò una voce eterea, dolce come una preghiera. Ignotus sollevò lo sguardo, ma non vide nessuno. Sentì solo una presenza, antica e benevola, come se fosse circondato da invisibili custodi.
Il drappo era fatto di un materiale creato dagli antichi spiriti della montagna, esseri eterni che un tempo avevano protetto la terra e nascosto i loro segreti ai mortali. Ignotus comprese che quello era il tessuto di cui aveva bisogno, un tessuto che non solo nascondeva agli occhi degli uomini, ma persino alla morte stessa.
Senza esitare, prese il drappo e, con la bacchetta iniziò a intessere un incantesimo antico. Lanciò parole dimenticate, parole che i maghi avevano smesso di usare, ma che lui aveva appreso durante il suo viaggio, custodite tra i segreti dei popoli nordici. Il drappo fluttuava nell’aria mentre pronunciava l’incantesimo, trasformandosi lentamente in un mantello che aderiva alla sua figura e svaniva, rendendolo invisibile.
Quando l’incantesimo fu completo, Ignotus si tolse il mantello e osservò il tessuto tornare visibile tra le sue mani. Aveva realizzato ciò che desiderava, un mantello che lo avrebbe celato agli occhi dei viventi e a quelli della morte stessa. Un dono raro, non per sfidare la fine, ma per vivere libero e sicuro. E in quel luogo sacro, sotto la luce eterea della caverna, fece un voto: avrebbe tramandato quel mantello solo a coloro che avessero dimostrato di comprenderne il valore, di rispettare il dono della protezione senza abusarne.
Con un ultimo sguardo alla caverna, Ignotus Peverell si avvolse nel mantello e uscì, lasciandosi alle spalle quel luogo sacro, invisibile e protetto come desiderava.
Antioch Peverell non era mai stato un uomo incline alla modestia. Superbo, deciso, e spietato, il suo desiderio di potere lo aveva portato a percorrere terre lontane e pericolose. Si trovava nelle terre degli "Uomini Ramati", come venivano chiamati gli abitanti delle foreste selvagge dell’ovest, un mondo ricco di magia e mistero.
Il suo scopo era chiaro: voleva un’arma che lo rendesse invincibile, qualcosa che piegasse ogni avversario e lo rendesse l’uomo più temuto e rispettato di tutti i tempi. Aveva sentito parlare di un albero leggendario, il sambuco, che cresceva solo in un luogo nascosto, lontano da occhi umani, impregnato di energie occulte. Secondo le voci che aveva raccolto da saggi e sciamani locali, quell’albero era protetto da una maledizione, e chiunque lo avesse trovato ne avrebbe pagato il prezzo.
Il crepuscolo stava calando quando Antioch raggiunse una radura isolata, quasi morta. Il silenzio era innaturale, soffocante, interrotto solo dal fruscio inquietante delle foglie nere che cadevano dall'albero di sambuco. Le sue radici si insinuavano nel terreno come artigli contorti, e il tronco scuro sembrava respirare, pulsante di una vita sinistra.
Antioch avanzò con il cuore che batteva forte, ma non per paura; era l'eccitazione, l’arroganza che lo spingeva. Teneva in mano la sua bacchetta, pronto a sfidare qualsiasi spirito o maledizione lo attendesse.
Un sussurro gli accarezzò le orecchie, profondo e tentatore, come una voce antica proveniente dall'albero stesso. “Per ottenere il potere assoluto, devi offrire il tuo sangue,” sembrava mormorare.
Antioch non esitò. Estrasse un pugnale e si incise la mano, lasciando che il sangue colasse sulle radici del sambuco. L’albero sembrò assorbirlo con avidità, e in cambio, una parte del suo legno si staccò lentamente, prendendo forma. Un ramo contorto e scuro scivolò tra le mani di Antioch, che sentì immediatamente la potenza crepitare dentro quel pezzo di legno.
Con un incantesimo, iniziò a modellarlo, pronunciando parole di magia antica e proibita, lasciando che il suo desiderio di dominio si infondesse nel legno. Quando terminò, stringeva tra le dita la bacchetta di sambuco, perfetta nella sua malvagia bellezza, un’arma capace di sconfiggere ogni avversario.
Antioch sorrise, guardando la bacchetta con un senso di trionfo. Aveva vinto. La morte non l’avrebbe mai sconfitto, ora.
Tempo dopo, i tre fratelli si ritrovarono insieme in una notte rischiarata dalla luce della luna, su una collina che dominava i campi dorati della loro terra natale. Ognuno di loro portava con sé il dono che aveva creato durante i loro viaggi.
Ignotus, con il suo mantello, lo avvolgeva intorno a sé come un velo silenzioso, nascondendo ogni traccia di sé alla vista del mondo. Cadmus teneva la pietra della resurrezione, rigirandola tra le dita con sguardo assorto e malinconico. Antioch, invece, brandiva la bacchetta con fierezza, il volto illuminato da un sorriso di soddisfazione.
Si sedettero insieme, e Antioch, con il suo tono arrogante, propose: «Non possiamo permettere che queste creazioni vadano dimenticate. Dobbiamo tramandare la nostra storia, così che il mondo conosca la potenza dei doni che abbiamo ottenuto.»
Ignotus annuì, ma con un’espressione cauta. «Forse, però, dovremmo renderla una storia, un racconto. Non tutti devono conoscere il vero potere che queste creazioni racchiudono.»
Cadmus sorrise tristemente. «Sì… una storia su tre fratelli che incontrano la morte stessa, e la sfidano. Sarà una fiaba, ma custodirà la verità per coloro che sapranno comprenderla.»
Antioch scrollò le spalle, accettando il compromesso. «Che sia. Ma che sappiano che chiunque osi sfidare uno di questi doni sarà destinato al fallimento.»
E fu così che i tre fratelli giurarono di custodire i loro segreti, di tramandare la loro storia come una leggenda, un mistero per coloro che avrebbero ascoltato e forse cercato quei doni senza mai sapere la vera origine di essi.
Mentre si scambiavano un ultimo sguardo, però, nessuno di loro notò l'ombra che si stagliava sullo sfondo. Una figura incappucciata li osservava, celata tra gli alberi, con uno sguardo fiero e quasi divertito. Un velo nero copriva il suo volto, ma la sua presenza era palpabile, un'aura antica come il tempo stesso.
Era la Morte. Fiera dei suoi avversari, ma anche maliziosamente soddisfatta, perché sapeva che, prima o poi, avrebbe reclamato tutti e tre. Nessuno poteva sfuggirle, neanche coloro che avevano creduto di ingannarla.
Un simbolo di potere e leggenda, questa maglietta celebra l'eredità dei Doni della Morte.
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