Il corridoio all’interno dell’Ufficio Misteri era lungo, come se si prolungasse all'infinito in un’oscurità di mistero. Le luci, pallide e fluttuanti, riflettevano nel marmo lucido del pavimento, creando riflessi distorti e incerti. Silente camminava con passo lento, i suoi occhi brillavano di una consapevolezza che neppure il buio più fitto poteva nascondere. Dietro di lui, un giovane mago, non ancora del tutto sicuro di sé, lo seguiva. Il suo nome era Marcus Drayton, un auror giovane e promettente che Silente aveva scelto di affiancare in questa missione particolare.
"Lei sa perché siamo qui, Professore?" chiese Marcus, la sua voce tremante tradiva una certa apprensione.
"Ho dei sospetti", rispose Silente, fermandosi davanti a una porta che non sembrava avere alcuna serratura. "Ma è per questo che dobbiamo entrare."
Marcus annuì, ma non riusciva a nascondere il suo imbarazzo. Non era mai stato nella zona segreta del Ministero, e tantomeno nel Dipartimento dell’Amore. Sentiva come se stesse entrando in un mondo a parte, lontano dalle logiche tangibili della magia che conosceva.
Il Professor Silente aprì la porta, ed entrambi si trovarono di fronte a una vista incredibile.
Il Dipartimento dell'Amore non era una stanza. Non era neppure una sala. Era come un’intera galassia, un vuoto vasto e profondo dove il cielo era costellato di luci che sembravano pulsare di vita propria. Silente prese un respiro profondo mentre camminava dentro, lasciando che le sue scarpe calzassero silenziose sul pavimento morbido e sfocato. Tutto sembrava muoversi a un ritmo che sfuggiva alla comprensione, come se la stessa aria avesse un battito cardiaco. La luce sembrava provenire da tutte le direzioni, ma non c’era sole, né luna, né stelle visibili. Un cielo sempre in cambiamento, infinito e intricato.
"Ciò che vedi", cominciò Silente, senza voltarsi, "è l’archivio di tutte le emozioni che esitono, sono esistite o mai esisteranno. Ogni sfumatura, ogni viscerale pulsione. L'amore, in tutte le sue forme."
Marcus cercava di respirare normalmente, ma la bellezza e la vastità della stanza lo turbavano. "L’amore... in tutte le sue forme?"
"Ogni emozione nasce dall’amore, Marcus. Ogni emozione che proviamo, buona o cattiva, nasce da un legame, da una connessione. Anche l’odio, in fondo, è amore, ma piegato, contorto, rovinato. L’amore non è solo quello che vediamo nei libri o in una relazione. È... la forza che unisce tutte le cose." Silente si voltò verso il giovane auror, i suoi occhi chiari che brillavano con una conoscenza antica, come se fosse in grado di vedere ogni angolo nascosto della galassia davanti a loro.
"Lei mi sta dicendo che l’odio è amore?" Marcus non riusciva a crederci. "Ma come è possibile?"
"Non è una risposta semplice", disse Silente, avvicinandosi a una delle luci fluttuanti che galleggiavano nell'aria. Era come una sfera incandescente, un piccolo sole, ma più morbido, più intangibile. Silente la toccò delicatamente con la punta delle dita, osservando il giovane auror in attesa di comprendere. "Ogni cosa che nasce dalla passione, dalla paura, dalla gelosia, dalla rabbia, o dal dolore... ha una radice nell'amore. L’amore che si piega in odio, in paura, in desiderio di distruzione... è ancora amore. Un amore corrotto, ma amore comunque."
Mentre parlava, una piccola forma si formò davanti a loro, una figura indistinta di emozioni che mutavano come acqua agitata, ora rosse di rabbia, ora blu di tristezza, ora nere di gelosia. Un angolo di luce si fece strada attraverso questa forma, spezzandola in mille frammenti colorati, come se ogni parte fosse un’idea o un ricordo separato.
"Guardi, Marcus", continuò Silente, facendo un passo indietro per osservare la scena che stava prendendo forma, "questo è il potere dell’amore. Le sue infinite manifestazioni. Non solo quella che proviamo per qualcuno o per qualcosa, ma quella che dà forma all’universo intero."
Marcus, perplesso, guardava Silente. "Ma non capisco... Perché siamo qui? Cos’è che ci ha portato in questo posto? Perché questa... ossessione per l’amore?"
Silente si fermò, fissando una sfera scintillante che fluttuava davanti a lui. Si poteva vedere dentro di essa, e in quel momento sembrava di osservare il cuore stesso del mago che la creava. Ogni movimento di luce sembrava suscitare un’emozione diversa, come se l’intera creazione avesse una propria coscienza.
"Lily Potter", disse Silente, il suo tono diventando più grave. "Il suo sacrificio ha creato qualcosa di... incredibile. Ha legato suo figlio Harry al mondo in modo che nessuna malvagità avrebbe potuto abbatterlo. Non solo per l’amore di una madre, ma per il sacrificio che questo ha generato. Il legame che ha creato, che ha segnato il destino di Harry... lo dobbiamo comprendere, Marcus. Dobbiamo capire cosa davvero è successo quella notte."
Marcus non rispose subito, come se stesse cercando di comprendere le parole del Professor Silente. Poi, con una certa difficoltà, chiese: "Ma come possiamo capire tutto questo? Come possiamo misurare il sacrificio di Lily? È... qualcosa che possiamo riprodurre? Qualcosa che possiamo... studiare?"
"Lo stiamo facendo", rispose Silente. "Ogni emozione che vedi qui, ogni frammento, ogni spirale di luce, è parte di una formula che cerca di spiegare non solo l’amore romantico, ma ogni tipo di amore che esiste: quello familiare, quello fraterno, quello verso se stessi e, naturalmente, quello che spesso si dimentica, quello che si prova per il mondo che ci circonda. Lily ha donato la sua vita per suo figlio. Quella forza, quella potenza di sacrificio, ha aperto una porta che non possiamo ignorare. È quella forza che dobbiamo comprendere."
Un silenzio pesante cadde tra i due, rotto solo dal suono etereo delle luci che si muovevano nell'aria.
Marcus, finalmente, sembrò capire. "L’amore non è solo un sentimento. È un legame. Un potere. E forse... forse non possiamo neanche immaginare quanto possa essere forte."
Silente lo guardò con un sorriso triste. "Esattamente."
Con un cenno della mano, Silente fece svanire la galassia di luci e emozioni, riportando il dipartimento alla sua quiete naturale. "Vieni, Marcus. Abbiamo visto abbastanza per stasera."
Il giovane auror si alzò, ma il peso delle parole di Silente, l'idea che l’amore fosse molto più di ciò che avevano sempre pensato, lo seguì a lungo.
"Ma noi, Silente", chiese Marcus mentre camminavano verso l'uscita, "possiamo mai capire veramente qualcosa come l'amore?"
"Non è questione di capire, Marcus", rispose Silente, "è questione di vivere."
E con questo, la porta dietro di loro si chiuse, lasciando dietro di sé solo il silenzio di un amore che ancora, misteriosamente, sussurrava nell'oscurità.
Voldemort entrò nel Dipartimento dell’Amore senza fare rumore, i suoi passi leggeri e invisibili, come una presenza che non voleva essere notata. Il Ministero della Magia, come sempre, gli dava il brivido della clandestinità, la consapevolezza di camminare su un terreno che non gli apparteneva, ma che stava cercando di piegare alla sua volontà. Con la sua recente rinascita, il potere che aveva conquistato sembrava irrefrenabile. Ma, nel profondo, qualcosa gli diceva che quella stanza aveva una connessione con qualcosa che lui non poteva dominare.
Il corridoio che conduceva all’interno del Dipartimento era vuoto, ma una strana tensione inondava l'aria. Non c'erano luci a guidarlo, ma un’oscurità familiare, che a lui sembrava più che adatta alla sua natura. La porta si aprì senza il minimo rumore, e si trovò davanti a un vuoto sconfinato, uno spazio che sembrava infinito. La galassia di luci brillava come stelle lontane, ma questa volta non sembravano accogliere il mago oscuro.
La stanza, che in passato aveva visto Silente e il giovane Marcus camminare in mezzo alla sua bellezza surreale, sembrò fremere di un'energia nuova. Una tensione sottile ma palpabile serpeggiava nell’aria, come se le stesse luci pulsassero al ritmo di un battito di cuore che stava cambiando, uno che non aveva nulla di umano.
Voldemort avanzò senza esitazione. Le sue scarpe nere risuonavano nel silenzio, ma quando le sue dita si avvicinarono a una delle luci sospese nell'aria, qualcosa di strano accadde. La sfera che prima sembrava calma, ora tremò, come se si fosse scossa dall'energia che emanava dalla sua presenza. Il sorriso sottilmente maligno che si formò sulle labbra di Voldemort non fece che crescere, una sensazione di superiorità avvolgendo il suo cuore.
"Cos’è questa follia?" mormorò tra sé e sé, guardando le luci tremolanti. "Un’illusione... una mera illusione."
Ancora una volta, tentò di avvicinarsi, ma questa volta la stanza sembrò ritrarsi da lui, come se avesse percepito l’intensità del suo spirito malvagio. Ogni luce che Voldemort toccava sembrava respingerlo, come se il suo stesso potere corrompesse l’essenza di quella forza che altrimenti era pura. La sua magia oscura, la stessa che aveva distrutto e distrutto ancora, non si adattava a quel luogo. In un angolo, una luce rosea scattò frenetica, pulsando con violenza e rigettandolo, come se una barriera invisibile si fosse alzata tra lui e il suo obiettivo.
Voldemort sollevò la bacchetta, lanciando un incantesimo oscuro che penetrò nell’aria come un vento gelido, ma la stanza non si mosse. La magia del Signore Oscuro colpiva l’ambiente senza risultato, come se l’aria stessa fosse immune a ogni suo incantesimo. Il disprezzo che provava verso quella che considerava una debolezza umana -l’amore- cambiò rapidamente in confusione. Sentiva qualcosa che non riusciva a dominare. Qualcosa che non aveva alcuna logica.
“Non mi puoi fermare,” sibilò Voldemort, abbassando le mani con rabbia crescente. “Non c’è magia in questo mondo che possa fermarmi.”
Ma non era la magia che lo fermava. Era la natura stessa del luogo. Ogni luce che toccava sembrava distorcersi, come se avesse paura della sua presenza, o forse, la sua presenza suscitava qualcosa che andava oltre la semplice malvagità.
Voldemort camminò più avanti, cercando di forzare un movimento, ma la stanza lo respinse con maggiore intensità. La luce più vicina a lui, quella che somigliava a un'ombra di rosso, sembrò muoversi in un vortice che lo circondò come una tempesta, alimentata dalla sua stessa energia.
Il suo cuore cominciò a battere più velocemente, ma il suo orgoglio non gli permise di fermarsi. Dalla sua bocca uscì una risata bassa, velenosa, mentre osservava la stanza come se fosse un nemico da annientare. “Questa è solo un’altra forma di debolezza. L'amore è la causa di tutte le debolezze. Io sono la fine di tutto ciò. Non c’è niente che mi sfidi.”
La stanza si illuminò improvvisamente di una luce intensa e fredda. L’aria si fece densa, e le luci, che avevano danzato in una grazia impossibile, cominciarono a formarsi in figure evanescenti, come ombre di emozioni opposte. L’amore, la paura, la solitudine, la rabbia... tutte si fusero in un'armonia che il mago oscuro non poteva comprendere. In quel momento, il suo sguardo, per un istante solo, divenne incerto.
Un lampo di comprensione attraversò la sua mente: quella che lui credeva essere solo una forma di debolezza, un’inganno che la gente chiamava amore, non era così semplice. Non era solo una magia da annientare. L’amore, in ogni sua forma, era una forza che non poteva essere piegata né distrutta. Non con l’odio, né con il sangue.
"Questo è impossibile," mormorò Voldemort. "Non è possibile."
Ma, nonostante la sua frustrazione, continuò ad avanzare. Forse avrebbe trovato una via per piegare quella stanza alla sua volontà, come aveva fatto con tutto il resto. Così, con un movimento deciso, alzò la bacchetta e disse: "Finirò anche questo. Concluderò ciò che ho iniziato."
Immediatamente, una luce accecante lo avvolse, e una sensazione di intolleranza lo pervase. Come se la stanza, quell’intero spazio, stesse rifiutando la sua esistenza. Il suo cuore, che batteva forte con rabbia e disprezzo, sembrò mancare un battito, come se fosse stato respinto dalla stessa energia di quell’amore che non riusciva a comprendere.
Ma Voldemort non si fermò. Non poteva fermarsi. Non avrebbe mai riconosciuto la sconfitta. “Non mi importa quanto sia potente questa forza... Io sono il Signore Oscuro,” disse, la sua voce piena di veleno.
Eppure, qualcosa dentro di lui tremò. La stanza si chiuse lentamente intorno a lui, in un abbraccio freddo, silenzioso, ma inevitabile.
Gli occhi rossi di Voldemort fissavano quelli verdi di Harry. Ogni fibra del suo corpo sembrava protestare, l’aria attorno a lui sembrava vibrare, quasi carica di un potere invisibile che lui stesso non riusciva a comprendere. Aveva sempre creduto che la vita eterna fosse garantita dai suoi Horcrux, quei pezzi di anima incatenati in oggetti che nessuno avrebbe mai potuto trovare, eppure ora, di fronte a quel ragazzo, sentiva la loro assenza. Non c’era più alcuna catena che lo legasse alla vita eterna.
Voldemort sollevò la sua bacchetta, ma l’oscurità che aveva costruito, che si era radicata in ogni parte della sua anima, sembrava ora una voragine senza fondo, pronta a risucchiarlo. Ogni respiro divenne un fardello, ogni battito del suo cuore si fece pesante, come se la morte stessa fosse già accanto a lui, attendendo paziente.
Le parole dell’ultimo incantesimo cominciavano a formarsi sulle sue labbra, ma per un istante brevissimo, vide una verità che lo trafisse come un pugnale. Gli occhi di Harry Potter, verdi come quelli di sua madre, erano il riflesso di tutto ciò che lui aveva cercato di cancellare, di distruggere. Davanti a lui non c’era solo il ragazzo che aveva sfidato la sua morte, ma il simbolo di quella forza che non aveva mai voluto comprendere, di quel sacrificio che Lily Evans aveva compiuto per proteggere suo figlio.
Una consapevolezza fredda e brutale lo colpì. Era questo che aveva visto quel giorno, nel Dipartimento dell’Amore. Era quella forza, quell’energia incontenibile e pura che la stanza sembrava emanare. Aveva creduto di poter dominare tutto, persino la morte, ma aveva ignorato ciò che si annidava tra le pieghe della vita e della morte: il legame che si crea con gli altri, il sacrificio e il desiderio di proteggere.
La sua mente si agitava, lottando contro quella realizzazione, ma i volti di tutte le sue vittime cominciarono a riaffiorare, uno dopo l’altro, come se lo circondassero. E ognuno di loro sembrava guardarlo con un’intensità che lo consumava. Le voci di coloro che aveva ucciso, che aveva torturato, si sollevarono come un lamento, una nenia spettrale che lo avvolgeva, stringendosi intorno a lui come una morsa soffocante. Era una colonna di anime urlanti, ognuna testimone della sua crudeltà, una parte di quell’inferno che lui stesso aveva creato.
Era circondato dalle sue vittime, e in quegli ultimi istanti, Voldemort capì: era solo. Aveva sempre considerato l’amore come una debolezza, una fragilità che avrebbe vinto con la paura e con il terrore. Ma ora, mentre fissava quegli occhi verdi che brillavano di tutto ciò che lui non aveva mai potuto comprendere, si rese conto che era proprio quell’amore che avrebbe sigillato la sua fine.
L'ultima cosa che vide furono quegli occhi, così simili a quelli di Lily Evans, l’ultima memoria di ciò che non sarebbe mai potuto diventare. L’amore era qualcosa che andava oltre la vita stessa, una forza più grande e profonda di qualsiasi magia oscura.
L’incantesimo che aveva lanciato con la sua bacchetta si rifletté verso di lui, colpendolo come un’esplosione silenziosa. Il dolore fu breve, ma intenso, come una fiamma che brucia tutto in un solo istante, lasciandolo vuoto, privo di qualsiasi potere. Cadde a terra, avvolto dall’oscurità, con l’unica consapevolezza di essere stato sconfitto non solo dal ragazzo, ma dall’amore stesso, la forza che aveva sempre deriso.
Morì senza rimorso, convinto della giustezza della sua vita e dei suoi ideali, ma con una consapevolezza crudele e fredda: non era riuscito a dominare tutto. Se solo avesse capito prima...
"La felicità la si può trovare anche negli attimi piu tenebrosi, se solo ci si ricorda di accendere la luce"
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