La fine della guerra tra maghi e babbani aveva lasciato cicatrici indelebili su tutti. Se per i maghi il conflitto significava la salvezza o la rovina, per molte altre creature magiche, tra cui i centauri, significò la fine di un'era.
Un tempo, i centauri dominavano le vaste praterie e le colline che circondavano le terre dei maghi. Nella loro autonomia, vivevano secondo le leggi della natura, dei cieli e delle stelle, con un rispetto sacro per la loro indipendenza. Erano un popolo che non aveva mai ceduto alla dominazione dei maghi, né tanto meno si era piegato al potere dei babbani. Ma quando la guerra scoppiò, si schierarono senza esitazione al fianco dei maghi, vedendo nella causa magica un modo per proteggere l'equilibrio naturale delle terre in cui vivevano.
In cambio del loro aiuto, i maghi promisero onore, rispetto e un futuro di pace reciproca. Ma dopo la guerra, tutto cambiò. I maghi avevano perso, ma a quale prezzo? La paura e la diffidenza verso chiunque fosse stato coinvolto nei conflitti portarono a una serie di decisioni dure e spietate. I centauri, un popolo che aveva combattuto con onore, si trovarono vittime di una dimenticanza crudele.
Nel giro di pochi anni, l'intera razza centaurica fu costretta a vivere in un piccolo angolo di mondo: la Foresta Proibita. La stessa foresta che, in passato, era stata il loro dominio, ora divenne la loro prigione. Un territorio ridotto, confinato, dove condividevano lo spazio con i maghi di Hogwarts, che li guardavano con un misto di sospetto e paura.
Era la decisione del Ministero della Magia. Una scelta di convenienza, un modo per ridurre al minimo i contatti tra il mondo dei maghi e quello delle creature magiche. Nonostante le vecchie alleanze e la solidarietà dimostrata dai centauri durante la guerra, i maghi sembravano preferire mantenerli lontani, quasi dimenticandosi del sacrificio che avevano fatto.
I centauri si adattarono, ma non senza dolore. La loro mente, che una volta vagava libera per campi sconfinati, ora si trovava limitata in uno spazio che non corrispondeva più alla grandezza del loro spirito. Il loro leader, cercava di mantenere l'unità, ma era chiaro a tutti che il suo cuore era segnato da una rabbia inespressa. La sua gente era stata umiliata. Gli era stato detto che sarebbe stato meglio se si fossero accontentati di una vita più ritirata, lontano dal mondo dei maghi, lontano dalla civiltà che li aveva un tempo rispettati.
La Foresta Proibita non era più il santuario di una razza fiera, ma una prigione naturale, un piccolo angolo angusto in cui i centauri non erano più padroni, ma rifugiati. Si adattavano alla nuova realtà, ma non era la loro casa. La Foresta non li accoglieva più come una volta. I fiumi non scivolavano più con la stessa leggerezza, gli alberi non sussurravano più lo stesso canto dolce. Il vento, un tempo loro amico, sembrava ora tenerli prigionieri, come le mura invisibili che circondavano il loro piccolo angolo di mondo.
I maghi di Hogwarts, al di là della Foresta, li osservavano come strani esemplari, curiosi ma distanti. Per quanto i centauri non avessero mai cercato di integrarsi pienamente con loro, ora venivano percepiti come una minaccia silenziosa, un popolo che aveva fatto troppo per essere dimenticato, troppo per essere ignorato.
Ogni giorno che passava, l'amarezza cresceva nei cuori dei centauri. Ma non osavano sfidare l'ordine imposto dal Ministero. Erano troppo saggi, troppo vecchi per perdere la testa in folli ritorsioni. Eppure, c'era una sensazione di vuoto che si faceva largo nel cuore di ogni centauro, un silenzioso lamento per ciò che avevano perso.
Il loro capo spesso si ritirava da solo nel cuore della Foresta, al di fuori del campo visivo degli altri, e lì, sotto il cielo stellato che una volta conosceva così bene, guardava le stelle. Le stesse stelle che avevano guidato il suo popolo nei momenti di gloria. Ora, però, sembravano sfuggire al suo sguardo. Come tutto il resto.
Una nuova era stava iniziando per loro, eppure sembrava che la speranza fosse ormai lontana, persa tra le pieghe di una storia che li aveva dimenticati.
La guerra contro Voldemort stava portando sconvolgimenti in ogni angolo del mondo magico, ma i centauri restavano, come sempre, distanti dalle beghe umane. La loro neutralità, però, non era sinonimo di indifferenza. A differenza di molti altri popoli, i centauri non guardavano la guerra come una questione di bene o male, ma come un pericolo che avrebbe potuto compromettere l'equilibrio naturale. Eppure, l'ombra di Voldemort si stava allungando anche sulle loro terre, e la situazione stava lentamente cambiando.
Alcuni emissari magici si erano avvicinati alla Foresta Proibita. Silente, nella sua infinita saggezza, aveva cercato di guadagnare la loro alleanza, inviando messaggi di pace e speranza. Voleva che i centauri si unissero nella lotta contro il Signore Oscuro, promettendo loro rispetto, libertà e un futuro senza persecuzioni. Ma i centauri, pur rispettando Silente per la sua astuzia e il suo impegno, non avevano mai dimenticato la storia di tradimenti passati. Non avevano fiducia, né nel Ministero né nei maghi.
Voldemort, d'altra parte, aveva compreso la grandezza della razza centaurica, e, come al solito, era pronto a sfruttarla. Non cercò di convincere i centauri con parole gentili. La sua era una proposta più allettante: una promessa di territorio vasto e selvaggio, libero dalle leggi e dai vincoli del mondo magico. Un dominio su cui i centauri avrebbero potuto governare indisturbati, senza il controllo del Ministero della Magia. E molti, troppi, cominciavano a guardare con interesse. La possibilità di tornare a dominare la natura, di essere liberi da legami imposti da esseri umani e maghi, sembrava irresistibile. C'era chi cedeva lentamente, lasciando che l'idea di tornare a un potere assoluto germogliasse nel loro cuore.
Ma non tutti i centauri erano disposti a scendere a compromessi. Al centro della Foresta, nell'antico cuore della razza, risiedeva il capo supremo, Asthoros, una creatura straordinaria. Conosciuto per la sua saggezza infinita, la sua forza sovrumana e il potere di lettura delle stelle che nessun altro centauro possedeva, Asthoros era il baluardo della loro autonomia. Era lui che aveva visto il futuro del popolo dei centauri e sapeva che cedere a Voldemort sarebbe stato la fine di ciò che rappresentavano.
Asthoros rifiutò le offerte di entrambi i fronti, rimanendo saldo nella sua convinzione. Ma fu un incontro con il Signore Oscuro che segnò la fine della sua pazienza. Voldemort, consapevole dell'influenza che Asthoros esercitava sui suoi compagni, si presentò nella Foresta con la sua solita fierezza e il suo ghigno crudele, portando con sé un messaggio di potere. "Vi offro ciò che i maghi non possono darvi," disse con voce fredda e minacciosa. "Venite al mio fianco e tutto ciò che desiderate sarà vostro."
Asthoros, immobile come una montagna, lo guardò dritto negli occhi, la sua presenza imponente come una tempesta pronta a scatenarsi. "Voi," rispose, con un tono che fece eco nei cuori dei presenti, "non avete idea di cosa stiate minacciando. I miei zoccoli vi faranno a pezzi se oserete portare la guerra nel nostro territorio. Non ci sono terre per voi nei nostri domini."
Voldemort rise, un suono freddo e sprezzante. Non si fece intimidire dalla grandezza del centauro, ma la sua risata non riuscì a nascondere un filo di disprezzo per quella razza che considerava troppo primitiva, troppo ingenua per comprenderlo. "Siete solo bestie," disse, il suo sguardo che penetrava l'anima di chiunque lo incontrasse. "Le vostre minacce non sono che rumori nel vento. Vi lascerò vivere, per ora. Ma ricordate, ogni guerra porta il suo tributo."
Asthoros non si mosse, ma la sua postura rimase ferma, come un muro impenetrabile. La minaccia di Voldemort rimbombava nell'aria, ma lui non aveva paura. Sapeva che, se fosse stato necessario, avrebbe protetto la sua gente, anche a costo della propria vita. "Non dimenticate mai," disse, la sua voce carica di potere e verità, "che anche il più piccolo albero ha radici che affondano nel profondo della terra, e che nessuna ombra potrà mai oscurare la luce di chi vive in armonia con la natura."
Voldemort, sconcertato dalla fermezza del centauro, alzò la mano, come se volesse scacciare quel pensiero dalle sue menti. "Io vi derido," rispose, con uno smorfia di disprezzo. "La vostra razza è troppo debole per capire. Ma non temete, il tempo di mettere alla prova la vostra forza arriverà. E quando arriverà, sarete i primi a cadere."
Con un gesto secco, Voldemort scomparve tra le ombre, lasciando dietro di sé una scia di oscurità.
Asthoros, tuttavia, rimase fermo per un lungo istante, il suo cuore colmo di determinazione. Nessuna minaccia avrebbe mai scalfito la sua razza. La battaglia era solo all'inizio, ma il popolo dei centauri era pronto a difendersi.
La guerra contro Voldemort si stava intensificando, con la terribile figura del Signore Oscuro che avanzava inesorabile, mietendo vittime tra i maghi e i babbani. La sua sete di potere non conosceva limiti, e l'ombra della sua tirannia si allungava sempre di più su ogni angolo del mondo magico. I maghi erano spaventati, la resistenza era debole, e Voldemort sembrava destinato a vincere. Ma tra i centauri, il peggio doveva ancora arrivare.
Nel cuore della Foresta Proibita, sotto il manto di stelle che li aveva sempre guidati, i centauri si erano riuniti. La preoccupazione cresceva tra di loro, non solo per la guerra che si stava scatenando, ma per qualcosa che il centauro più anziano, Lysias, aveva intravisto nelle stelle. Lysias era il più saggio tra i centauri, il più esperto nel leggere i segni del cielo, e da anni era il loro custode di conoscenza. Ma quella notte, qualcosa di diverso brillava nel suo sguardo.
Con voce grave e profonda, Lysias parlò al branco. "C'è qualcosa tra le stelle, qualcosa che non riesco a comprendere completamente. Un osservatore silenzioso, una presenza che sembra cavalcare il destino stesso. Non è di questo mondo, ma si sta avvicinando."
Il silenzio cadde sul gruppo. I giovani centauri, che avevano ascoltato tante storie di battaglie e conquiste, non riuscivano a comprendere la portata di ciò che il loro anziano leader stava dicendo. Ma la tensione tra di loro era palpabile. La guerra contro Voldemort era già più che sufficiente a mettere alla prova la resistenza del loro popolo, ma ora c'era qualcosa di più oscuro che minacciava di rovinare tutto.
"Un osservatore?" chiese uno dei giovani centauri, il suo volto teso di preoccupazione. "Chi potrebbe mai osservarci senza che ce ne accorgiamo?"
Lysias guardò il cielo sopra di loro, gli occhi colmi di una saggezza che sembrava infinita. "Non è una persona," rispose lentamente. "È una forza, un'entità che sembra stare al di fuori del nostro tempo, ma che ha la capacità di influenzarlo. E non solo il nostro tempo, ma quello di tutti. Ci stiamo avvicinando a un punto di non ritorno. La guerra di Voldemort potrebbe essere solo una parte di un disegno più grande."
Il branco cominciò a mormorare tra sé, i loro cuori appesantiti dall'ansia. La guerra era terribile, ma l'idea che qualcun altro stesse osservando, come una forza invisibile che li scrutava dall'alto, gettava una nuova ombra sui loro cuori. Cosa significava questo osservatore? E cosa stava per accadere al loro popolo e al mondo intero?
Un altro centauro, giovane e impetuoso, si fece avanti. "Ma se questo osservatore è così potente, perché non fa nulla? Perché non ci aiuta?"
Lysias scosse la testa. "Gli osservatori non intervengono," rispose, la sua voce pesante di un'inesplicabile tristezza. "Non è il loro ruolo. Ma possiamo solo temere che la nostra lotta contro Voldemort, che già appare come un percorso segnato, sia in realtà solo una delle tante tessere di un disegno che va ben oltre ciò che possiamo comprendere. La guerra potrebbe essere solo l'inizio."
Le stelle sopra di loro sembravano brillare con una luce più fredda, come se stessero testimoniando qualcosa di più grande. Il cielo era silenzioso, ma dentro di loro si stava accendendo una fiamma di preoccupazione e incertezza. Nessuno sapeva davvero quale fosse la vera natura di quell'osservatore, né cosa stesse cercando, ma una cosa era certa: qualcosa stava per accadere, e i centauri si sarebbero dovuti preparare ad affrontarlo.
La guerra contro Voldemort non era più solo una lotta per la sopravvivenza, ma per la comprensione di un destino che sembrava sfuggire loro. E mentre il mondo magico si piegava sotto il peso del male, i centauri erano costretti a guardare oltre, cercando di decifrare il mistero che stava minacciando la loro esistenza stessa.
Thorne e Einstein, nascosti nell'ombra, stavano osservando, come avevano fatto tante altre volte, il destino che si snodava sotto i loro occhi. Stavano studiando il comportamento dei centauri, osservando il capo supremo, la figura che si ergeva al centro del cerchio come una colonna di forza e saggezza. Il cielo sopra di lui sembrava vibrare, come se il tempo stesso rispondessero ai suoi pensieri.
"Vedi?" disse Einstein a Thorne, la sua voce bassa e riflessiva. "Sono sempre più convinto che ci sia un legame profondo tra questi esseri e ciò che stiamo cercando. Essi, come noi, hanno una comprensione del tempo e del destino che va oltre la nostra percezione."
Thorne annuì, ma la sua attenzione era completamente catturata dal capo supremo dei centauri, che ora sembrava rivolgersi a loro, come se avesse percepito la loro presenza.
Il capo, un centauro imponente con la criniera argentata e gli occhi che riflettevano la luce delle stelle, alzò lo sguardo verso il cielo. Un silenzio totale calò su di lui e sul branco. Poi, come se avesse preso una decisione, sollevò la testa e si rivolse direttamente verso Thorne ed Einstein, che non osavano muoversi.
"Non siete invisibili come pensate," disse con una voce profonda e potente, che sembrava provenire dall'interno del mondo stesso. "Riesco a vedervi. Riesco a sentire la vostra presenza, e conosco il vostro scopo."
Einstein e Thorne si scambiarono uno sguardo sorpreso, ma non risposero. Non c'era bisogno di parole. Il capo dei centauri continuò a parlare, con un tono che vibrava di conoscenza antica.
"Siamo stati scelti da molto tempo per rappresentare una delle incarnazioni del destino sulla Terra. Non come dei, ma come esseri che camminano tra il passato, il presente e il futuro, legati a un ciclo che non possiamo comprendere pienamente. Il nostro compito è osservare, proteggere e, se necessario, correggere il corso degli eventi."
Einstein, senza distogliere lo sguardo, fece un passo avanti. "Come avete fatto a scoprirci? E perché parlate di incarnazioni del destino?"
Il capo dei centauri fece un gesto lento con la sua lunga mano, come per spiegare qualcosa che era difficile da comprendere appieno. "Il tempo non è lineare come pensate. Tutto è connesso, intrecciato come i fili di una tela invisibile. Alcuni di noi sono nati per vegliare su questa tela, altri sono nati per scrivere le storie che si svolgono all’interno di essa. Voi, come me, siete legati a ciò che non vedete. Avete cercato la verità, come noi abbiamo cercato di comprendere il destino."
Einstein ascoltò attentamente, come se stesse assorbendo ogni parola. "E cosa accadrà ora? Siamo solo spettatori?"
Il capo dei centauri sollevò le spalle, come se avesse risposto a una domanda che già conosceva. "Non siamo mai solo spettatori. Ma il nostro ruolo è di restare fuori dalla scena, non interferire, se non strettamente necessario. Eppure, a volte, anche i più grandi osservatori non possono fare a meno di sentire il richiamo del destino."
Con un ultimo sguardo verso il cielo, il capo dei centauri fece un passo indietro, scomparendo nell'oscurità della foresta con il suo branco, come se il momento fosse finito e un nuovo ciclo stesse per iniziare.
Thorne ed Einstein rimasero fermi per un momento, entrambi con la mente in subbuglio. La rivelazione che avevano appena ricevuto era troppo grande da comprendere immediatamente. Erano stati parte di un disegno più grande, un disegno che aveva attraversato il tempo e lo spazio, e che ora, con la conoscenza di quell’incontro, sembrava come se avessero raggiunto un punto di non ritorno.
"Non siamo solo osservatori," disse infine Thorne, mentre guardava la foresta che si estendeva davanti a loro. "Siamo parte del destino, forse più di quanto pensavamo."
Einstein non rispose immediatamente. Guardò verso l'orizzonte, dove il cielo sembrava fondersi con la terra. Poi, dopo un lungo silenzio, parlò con voce calma, ma profonda.
"Il nostro viaggio non finisce qui. La verità che abbiamo cercato è solo l'inizio. Dobbiamo continuare a osservare, a imparare. Ma più di ogni altra cosa, dobbiamo capire che ciò che vediamo non è mai la fine, ma solo un altro inizio."
Con queste parole, i due scomparvero, lasciandosi alle spalle un mondo che continuava a evolversi, come il destino stesso che si intrecciava con le loro vite, invisibile e onnipresente.
La loro missione era lontana dall'essere conclusa.