La notte era densa di silenzio e magia quando Priscilla Corvonero, una strega giovane ma rinomata per la sua saggezza e intelligenza, ebbe il sogno che avrebbe cambiato per sempre il mondo magico. Nelle sue visioni, si trovava su una collina avvolta nella nebbia, con una vallata ai piedi che sembrava pulsare di energia. Su quel terreno, ergeva un castello che sembrava risplendere e mutare forma, le sue torri illuminate da bagliori eterei. Era una costruzione maestosa, che emanava un’aura di protezione e mistero. E su quella collina, una voce risuonava tra le mura: “Costruisci un luogo di saggezza, dove le menti illuminate possano risplendere e dove la magia sia libera di crescere.”
Al risveglio, Priscilla sentì che quella visione non era soltanto un sogno, ma una chiamata. Doveva condividere il suo progetto e realizzare quel luogo che le era apparso, una dimora per la conoscenza e l’incanto. Sapeva che non avrebbe potuto compiere tutto da sola: le servivano menti e cuori altrettanto potenti.
Passarono giorni prima che Priscilla riuscisse a convocare gli altri. Quando finalmente li ebbe davanti, il cuore le batteva forte per l’emozione e per il peso del compito che stava per proporre. Di fronte a lei, nella sala riservata alle riunioni nella sua dimora, sedevano i maghi più brillanti e temuti del tempo: Godric Grifondoro, uomo fiero e dal carattere impetuoso, con occhi che sembravano sprigionare fuoco; Tosca Tassorosso, saggia e pacata, la cui empatia e gentilezza si riflettevano nei suoi gesti; e infine Salazar Serpeverde, l’uomo più enigmatico, con una presenza che ispirava rispetto ma anche timore.
“Vi ho convocati,” iniziò Priscilla, “perché ho avuto una visione, una chiamata della magia stessa. Ho sognato un castello, un luogo dove potremo insegnare le arti magiche a coloro che ne sono degni. Non sarà solo una scuola, ma una dimora per il sapere, un rifugio per i talenti nascosti e un bastione contro l’ignoranza.”
Godric sorrise, affascinato dalla prospettiva di un posto dove poter addestrare nuovi stregoni audaci e coraggiosi. Tosca annuì, immaginando un ambiente dove ogni studente sarebbe stato accolto e apprezzato, a prescindere dalla propria origine. Solo Salazar rimase in silenzio, soppesando le parole di Priscilla.
“Ma chi deciderà chi è degno di entrare in questo luogo?” chiese infine Salazar, con un tono tagliente.
Priscilla non esitò. “Ognuno di noi contribuirà a formare una scuola che rispetti i valori in cui crediamo. Insieme, formeremo le future generazioni, e daremo al mondo magico ciò che non ha mai avuto: un centro di apprendimento unico, capace di prepararli ai pericoli e alle meraviglie della magia.”
Alla fine della riunione, con le idee ancora frenetiche e il futuro che sembrava promettere un’aura di grandezza, i quattro maghi accettarono di unire le loro forze. Hogwarts stava per nascere.
Mentre i fondatori si impegnavano a definire la filosofia della scuola, un uomo lavorava già con dedizione alla realizzazione del castello. Si chiamava Alden Murdoch, un mago con una profonda conoscenza delle arti costruttive e della magia antica, che conosceva la terra come nessun altro. Ma più di tutto, Alden era devoto a Priscilla Corvonero, non solo per la sua bellezza, ma per la sua intelligenza e saggezza, per la luce che emanava e che lo ispirava a creare.
Ogni pietra, ogni passaggio segreto, ogni scalino instabile era pensato per dare a Hogwarts un carattere unico e mutevole. Alden lavorava instancabilmente, creando stanze che cambiavano posizione e scale che sfuggivano alla logica, per rispecchiare la natura enigmatica e misteriosa della magia stessa.
Priscilla lo osservava con affetto e ammirazione, sapendo che senza di lui la sua visione sarebbe rimasta solo un sogno. Durante una pausa, gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla.
“Hai dato forma al mio sogno, Alden. Non sarà mai abbastanza quello che potrò fare per ringraziarti.”
Alden la guardò con devozione. “Io non lavoro per un compenso, Priscilla. Questa scuola… e lei, signora, siete tutto ciò che ho sempre desiderato servire.”
E così, mentre Alden continuava a costruire con mani esperte e cuore devoto, Hogwarts si avvicinava sempre di più a diventare il castello leggendario che avrebbe accolto generazioni di giovani maghi.
La Sala Grande era immersa nel silenzio assoluto, il profumo di legno e cera che pervadeva l’aria. Solo la luce della luna, filtrando attraverso le alte vetrate, illuminava il tavolo su cui i quattro fondatori stavano seduti. Nessuno osava disturbare quel momento, consapevoli che ciò che stava per accadere avrebbe segnato la storia per sempre.
Godric Grifondoro, con la sua imponente figura, poggiava il gomito sul tavolo, la sua mente concentrata su ciò che stava per accadere. Accanto a lui, Tosca, la serena ma determinata fondatrice di Tassorosso, stava disegnando una coppa d’oro con la mente. Priscilla Corvonero, gli occhi pieni di sogni e intuizioni, fissava il tavolo con una profondità che parlava di cose più grandi. Salazar Serpeverde, il più enigmatico di tutti, non distoglieva mai lo sguardo dalla sua creazione: un medaglione che conteneva più di ciò che sembrava.
Era il momento di compiere un altro passo nel loro piano. I tesori che avrebbero rappresentato le loro case dovevano essere più di semplici simboli. Dovevano essere oggetti con una propria forza, dotati di spirito, che avrebbero trasmesso ai futuri maghi il potere di essere degni della magia che possedevano.
"È ora," disse Godric, guardando gli altri, una sorta di attesa nei suoi occhi.
Priscilla sorrise lievemente, alzando il suo diadema. "Per la casa di Corvonero," disse, "questo sarà l’emblema della saggezza. Non sarà solo un gioiello, ma un simbolo di conoscenza, destinato a chi avrà il coraggio di cercarla."
Tosca annuì con una dolcezza che contraddistingueva il suo carattere. "Per la casa di Tassorosso, la coppa d’oro," disse, la sua voce gentile ma ferma. "Per chi mostra lealtà, coraggio e un cuore puro. Sarà la prova di chi sa fare il bene per il bene stesso."
Godric alzò la mano e con un sorriso, proclamò: "La spada per Grifondoro. Per chi sa combattere con cuore puro, senza paura. Sarà la spada di chi sceglie sempre la giustizia."
Infine, Salazar Serpeverde alzò il suo medaglione. La sua voce, però, era più bassa, misteriosa. "Per chi ha la forza e l'ambizione per governare il mondo, la perfezione della nostra casa. Un medaglione che non solo simboleggia il nostro potere, ma lo incarna. Chi lo indosserà avrà la forza per essere padrone del proprio destino."
Ogni tesoro brillava di un’intensità che sembrava venire dalla loro stessa essenza. La magia che avevano infuso in essi era palpabile, come se gli oggetti stessi respirassero, vivi nel loro spirito.
Ma c’era qualcosa di diverso in Salazar. Mentre gli altri sembravano appagati dalla bellezza dei loro doni, lui si chinò verso il suo medaglione con uno sguardo che non sfuggì agli altri. Un piccolo gesto, impercettibile agli occhi più distratti, ma che non passò inosservato a Priscilla.
Un incantesimo oscuro, sottile, iniziava a formarsi. Salazar stava infondendo nel suo medaglione una magia che nessun altro avrebbe potuto percepire. Un frammento di potere, oscuro e profondo, destinato a essere celato per sempre.
"Salazar, cosa stai facendo?" chiese Priscilla, il suo sguardo penetrante fissandolo. Salazar non rispose, il suo viso impassibile come sempre. I suoi occhi, però, tradivano qualcosa. Un’ombra, una decisione che gli altri non potevano ancora comprendere.
Il medaglione di Salazar non era solo un simbolo di ambizione. Era destinato a contenere qualcosa di molto più oscuro, qualcosa che i suoi compagni di viaggio non avrebbero mai scoperto. Un segreto che avrebbe minato le fondamenta della loro alleanza.
Quando il momento finì, i quattro fondatori lasciarono la Sala Grande. La luce della luna ora rifletteva sui tesori appena creati. Ma nessuno, nemmeno i fondatori, poteva sapere che quello che sembrava l’inizio di una grande impresa sarebbe stato anche l'inizio di una crepa profonda che avrebbe attraversato la storia per sempre.
Il sole stava tramontando dietro le colline di fine agosto, tingendo il cielo di un rosso caldo che sembrava fondersi con l'energia che permeava il cortile di Hogwarts. I quattro fondatori, ormai divisi dalla crescente tensione, si trovarono faccia a faccia, l’atmosfera carica di una forza magica palpabile, come se anche le mura del castello tremassero di fronte a ciò che stava per accadere.
Salazar Serpeverde, il volto indurito da anni di rancore, avanzò nel cortile, il suo medaglione che brillava di una luce oscura. "Siete ciechi," disse con voce gelida. "Non comprendete. Hogwarts è corrotta, lo è sempre stata. L’unica cosa che davvero conta è la purezza del sangue."
Godric Grifondoro, il suo furore e la sua determinazione chiari nei suoi occhi, brandì la sua spada con un gesto deciso. "Non tollero il razzismo, Salazar! Non può esserci posto per un'idea simile in questo luogo. Il nostro compito è insegnare a tutti, non solo ai prescelti."
I due si fissarono, come se il mondo intero fosse in attesa di quel duello. Tosca e Priscilla, stando a distanza, sapevano che ormai non c’era più ritorno. La loro amicizia, la loro alleanza, tutto sarebbe stato messo alla prova in quel momento.
"Se vuoi combattere, allora combatteremo," disse Salazar, la sua voce gelida come il ghiaccio. La bacchetta scintillò nella sua mano mentre il medaglione che portava al collo emanava un’energia sinistra, una forza oscura che sembrava rispondere alla sua volontà. Salazar si preparò a lanciare il primo incantesimo, la sua magia avvolta da una nebbia di malevolenza.
"Attento, Salazar!" urlò Godric, prima di scagliarsi in avanti con la sua spada. "Questo non è il modo giusto!"
Il duello esplose, una battaglia di magia e metallo, una guerra tra luce e tenebre che si svolgeva nel cuore del cortile. La spada di Godric brillava, fendente dopo fendente, accompagnata da incantesimi di luce pura. Ogni colpo che dava, ogni movimento, pareva un raggio di speranza che cercava di spezzare le ombre di Salazar.
Ma Salazar era un mago potente, e il suo medaglione irradiava un potere oscuro, una forza maligna che piegava l’aria intorno a lui. Ogni incantesimo che lanciava era una tortura, un grido di dolore che riecheggiava nel cuore di Hogwarts. La sua magia non era quella della bellezza e della giustizia, ma quella del controllo, della paura, del dominio.
I due si fronteggiavano con furia, le loro magie esplodendo in un turbine di scintille, come se il castello stesso fosse scosso dalle loro volontà contrapposte. Godric, con la sua spada, respingeva ogni attacco, la sua forza benevola e coraggiosa irradiava la luce che illuminava il buio di Salazar.
"Non puoi vincere, Salazar," gridò Godric, il suo volto segnato dalla lotta. "La tua idea è malvagia. Hogwarts non sarà mai il tuo regno!"
Salazar non rispose, ma alzò la bacchetta e lanciò un incantesimo potente, un vortice di oscurità che rischiò di sopraffare Godric. Ma prima che potesse colpirlo, il colpo di spada di Godric interruppe l’incantesimo, e Salazar arretrò, bruciato dalla luce.
Il duello si fermò all’improvviso. Salazar, con il volto segnato dalla furia, abbassò lentamente la sua bacchetta. "Ho visto abbastanza," disse, la sua voce ora carica di disillusione. "Questo posto non è più casa mia."
Gli altri tre fondatori lo guardavano in silenzio, increduli. Il loro compagno di una vita stava lasciando tutto dietro di sé, come se non fosse mai stato parte della scuola che avevano costruito insieme.
"Sei sicuro?" chiese Priscilla, la sua voce tremante. Non riusciva a nascondere la sua tristezza. La sua devozione per Salazar era sempre stata evidente, ma in quel momento, vedendo il suo volto duro e impassibile, capiva che era troppo tardi. La sua speranza, il suo amore segreto, non erano bastati a cambiare il destino che lui aveva scelto.
Salazar fece un passo indietro. "Non ho mai avuto scelta. Questo posto non è più mio. Non lo è mai stato."
Si ritirò verso i sotterranei di Hogwarts, con un ultimo sguardo che li fissò come un addio definitivo. I suoi passi si perdevano nell’ombra mentre si allontanava.
Là, nei sotterranei, si fermò davanti alla sua vecchia stanza, quella che aveva condiviso con i suoi compagni quando la scuola era ancora giovane. Il suo volto si indurì mentre sussurrava le parole che solo lui avrebbe capito. "Ho creato un luogo segreto, una camera nascosta che nessun altro potrà trovare. La Camera dei Segreti. Solo il mio erede potrà accedervi. E solo lui potrà scatenare il potere che vi giace dentro. Hogwarts sarà purificata. I non degni saranno scacciati."
Con queste parole, Salazar lasciò definitivamente la scuola. Prese pochi averi e uscì senza voltarsi indietro.
Priscilla, Godric e Tosca rimasero in silenzio, il peso di quel momento gravava su di loro. La fine di un’era, l’inizio di un’altra, ma anche la consapevolezza che le loro scelte avevano portato a una separazione dolorosa, e forse irrimediabile.