Ron Weasley camminava a passi lenti, quasi pesanti, lungo un corridoio di Hogwarts. Le sue scarpe strisciavano contro il pavimento lucido, il rumore amplificato nell'aria silenziosa del castello. Era una notte tranquilla, senza un’anima in vista, ma la sua mente era in tumulto. Sospirò, con le mani infilate nelle tasche, cercando di placare il mare di pensieri che lo agitavano. Perché? Perché non posso essere io al centro di tutto?
Il suo sguardo era fisso a terra, ma le parole continuavano a rimbombare nella sua testa, come un’eco insopportabile: Perché Harry e non io? Ron non era mai stato uno che cercava attenzione, eppure vedere il suo migliore amico diventare improvvisamente il centro del mondo, il campione del Torneo Tre Maghi, lo faceva sentire invisibile. Harry aveva ricevuto l’onore di competere accanto ai migliori allievi di Durmstrang e Beauxbatons. Il suo nome era stato tirato fuori dal Calice di Fuoco, e Ron aveva dovuto restare in silenzio, osservarlo. Ancora una volta, Harry aveva rubato la scena.
Si fermò davanti a una finestra che dava sul giardino. La vista del castello illuminato dalla luna sembrava quasi irraggiungibile, come se non fosse mai stato destinato a fare parte di quella bellezza. Eppure sapeva che, nonostante tutto, avrebbe dovuto imparare a convivere con questa realtà. La sua vita non sarebbe mai stata sotto i riflettori. Non sarebbe mai stato come Harry, né come Percy, né come Fred e George, che avevano sempre qualcosa di brillante da offrire. Lui era solo il sesto di sette fratelli, sempre nell’ombra di qualcuno.
Sei solo il miglior amico del ragazzo più famoso del mondo, pensò. Ma cosa succede quando il ragazzo più famoso è già qualcuno da ammirare?
Quando la notizia che Harry sarebbe stato uno dei campioni era arrivata, Ron aveva sorriso forzatamente, congratulandosi con Harry. Ma dentro, qualcosa si era rotto. La sua gelosia cresceva a ogni passo. Cosa avevo fatto io? si chiese. Cosa avevo fatto di speciale nella mia vita? Era sempre stato il fratello più silenzioso, quello che si faceva da parte, che si metteva da parte. A volte si chiedeva se gli altri lo vedessero davvero. Certo, era leale, era coraggioso quando c’era bisogno di esserlo, ma Harry... Harry era il campione. Harry era destinato a fare cose straordinarie, a essere ricordato come il "Prescelto".
Ron passò una mano sul viso, cercando di scacciare il pensiero che lo tormentava, ma non ci riusciva. Le parole di Fred, il suo fratello maggiore, gli ronzavano in testa: "Riesci a immaginare la faccia di Harry quando scoprirà cosa significa essere un campione?". A quel pensiero, Ron si era sentito un po’ più piccolo, come se un peso gli fosse scivolato addosso, un peso che non riusciva a scrollarsi di dosso.
Cercò di trovare sollievo in un altro pensiero, qualcosa che gli permettesse di tirarsi su. Almeno non sono solo un figlio di una grande famiglia, sono anche il migliore amico di Harry Potter. Ma anche questo pensiero, che di solito lo confortava, sembrava svanire più rapidamente di quanto potesse afferrarlo. Perché, alla fine, non era lui il protagonista della storia, non era lui che veniva scelto, non era lui a vivere l'avventura.
La porta si aprì dietro di lui e la voce di Hermione lo fece sobbalzare.
"Ron, dobbiamo parlare."
Lui si voltò di scatto, ma non riuscì a nascondere la sua frustrazione. "Non ho niente da dire, Hermione."
Lei si avvicinò lentamente, il volto preoccupato. "Cosa c’è che non va?"
Ron sentiva il cuore battere più forte, un misto di rabbia e confusione. Perché non posso essere più di quello che sono? Perché non posso essere quello che tutti si aspettano che io sia?
"È Harry," disse, quasi con un ringhio, le parole che stavano sulla punta della lingua da giorni. "E il torneo. Non riesco a capire perché... perché non sono io al suo posto. Perché non sono io il campione?"
Hermione sembrò colpita dalla sua durezza, ma non si fermò. "Ron... non è una gara. Harry non ha voluto essere scelto. Non c’è nessuno più coraggioso di te."
Ron sbuffò. "Non c’è niente di coraggioso in stare sempre dietro, nell’ombra. Non sono mai stato qualcuno che conta!"
La verità gli esplose in faccia come una verità che non poteva più ignorare. Per tutto il tempo, si era sentito piccolo, insignificante, come se fosse un accessorio nella vita di chiunque altro. Ma con Harry così in alto, tutto sembrava ancora più lontano. La sua mente si riempì di frustrazione, e le parole di Hermione rimbalzavano senza entrare veramente nella sua testa.
Hermione si fermò, un po’ sorpresa dalla sua reazione, ma senza arrendersi. "Ron, tu sei speciale. Non vedi ciò che gli altri vedono in te? La tua lealtà, la tua forza? Non devi essere un campione come Harry per essere importante. Sei tu, e quello è tutto ciò che importa."
Ron le diede un’occhiata lunga, ma non rispose. Si voltò, uscendo dalla stanza, con il cuore ancora più pesante di prima.
"Non ti ho mai raccontato cosa mi è successo in Egitto, vero?" disse Ron, appoggiandosi al muro della tenda mentre Harry lo guardava, sorpreso dalla domanda. Harry aveva appena chiesto come fosse andata la vacanza in Egitto della famiglia Weasley, e Ron, con un sorriso forzato, sembrava aver preso un respiro profondo, come se stesse per raccontare qualcosa che non aveva mai detto prima.
"Beh," cominciò Ron, il tono di voce improvvisamente serio, "è stata una vacanza... interessante, a dir poco. Non è stato come pensavo, e di sicuro non è stato un viaggio turistico da cartolina."
Harry lo fissò, curioso, senza interromperlo, mentre Ron si sistemava meglio e si preparava a raccontare.
"Abbiamo visitato un sacco di piramidi, eh? Tipo quella famosa di Cheope. Ma, come sempre, è successo qualcosa che non doveva succedere. Siamo finiti in una zona del deserto che non era proprio nelle mappe. La mia famiglia è sempre un po'... impaziente, e dopo aver visitato i soliti posti, mio padre ha voluto fare qualcosa di diverso. Così, ci siamo addentrati in una piramide che, a quanto pare, non doveva nemmeno essere aperta. Era tutta ricoperta di sabbia e non c’era neanche un cartello per avvertirci."
Harry lo guardò con attenzione, intanto che Ron si faceva più serio.
"Ma io, come al solito, non ho potuto resistere. Ho voluto esplorare. Ho visto un passaggio stretto e... beh, sai com'è, l'avventura è come una malattia che ci prende, no?"
"Un passaggio stretto?" Harry lo guardò, sempre più incuriosito.
"Un passaggio stretto e buio, che sembrava condurre nel cuore della piramide. E non c'era nessun tipo di magia in grado di aiutarci, naturalmente. Non potevo nemmeno usare la bacchetta. Quindi, in quel momento, ho dovuto usare... la testa. Non proprio il mio punto forte, te lo dico."
Ron sorrise, ma c'era un’ombra nei suoi occhi mentre ripensava a quell’esperienza.
"Ad un certo punto, ho sentito dei rumori strani, come sussurri. All'inizio pensavo fosse il vento, ma poi mi sono reso conto che stavo camminando in un corridoio dove le pareti sembravano... quasi vive. E poi, all'improvviso, un'ombra è uscita da dietro una colonna. E non era una persona, ma una figura antica, una mummia. Pensavo fosse un trucco, ma non lo era. Il respiro mi si è fermato. E quella cosa, quella mummia, mi stava fissando con questi occhi vuoti... Beh, in quel momento, ho capito che non stavo più solo esplorando. Ero finito in una trappola."
Harry lo ascoltava in silenzio, cercando di immaginare la scena. Non avrebbe mai pensato che Ron potesse trovarsi in una situazione del genere, così pericolosa, senza la possibilità di difendersi con la magia.
"Mi sono detto: 'Se non posso usare la bacchetta, devo trovare un altro modo,'" continuò Ron, con un sorriso nervoso. "Ho cominciato a pensare a come uscire, e poi, mentre la mummia si avvicinava, ho notato un vecchio vaso di pietra. Ho spinto il vaso e... non lo so, forse era la fortuna o la mia testardaggine, ma il vaso è caduto a terra, facendo un rumore pazzesco. La mummia si è voltata, e io ho corso. Non so come, ma sono riuscito a sfuggirle."
Harry rimase sorpreso. "E poi?"
"Poi ho visto una statua di un faraone, e tra le sue gambe c’era una corda che pendeva. Ho preso la corda e, con un po' di fortuna, sono riuscito a far cadere tutta la statua. La mummia si è bloccata, intrappolata sotto il suo peso. E in quel momento, ho visto un passaggio nascosto. Senza pensarci troppo, sono scivolato dentro e sono uscito dalla piramide. Sono riuscito a farla franca."
Ron si fermò un attimo, fissando il terreno davanti a lui. "Non ci ho pensato più di tanto, ma quella volta... non ho usato la magia. Ho dovuto cavarmela con la testa e... sì, forse un po’ di fortuna."
Harry guardò Ron in modo diverso, come se lo stesse vedendo sotto una luce nuova. Si rese conto che, anche senza la magia, Ron aveva saputo affrontare il pericolo con coraggio e astuzia. Non era solo il suo amico un po’ impacciato, ma anche qualcuno in grado di affrontare situazioni difficili con la giusta mentalità.
"Non te l’ho mai raccontato, vero?" disse Ron, con un sorriso che cercava di nascondere una certa fierezza. "Ma, in fondo, è stata un’avventura che non dimenticherò mai."
Harry sorrise a sua volta. "No, non me l’avevi mai raccontata. Ma sono felice che tu l'abbia fatta franca."
Ron alzò le spalle. "Non c’era altro da fare. Chi avrebbe mai pensato che avrei potuto affrontare una mummia da solo? Eppure, l’ho fatto."
La scena era surreale. Ron era lì, in piedi insieme agli altri membri dell'Ordine della Fenice, mentre Voldemort parlava a gran voce, dichiarando la morte di Harry. Ron sentiva la paura serpeggiare nelle sue vene, ma qualcosa di anomalo accadde. Un bagliore improvviso di luce si accese nel buio della cortile. Un portale apparve davanti a lui, come una finestra di opportunità, e, senza pensarci troppo, si trovò catapultato altrove.
Il mondo che lo circondava cambiò in un istante, e si ritrovò in un luogo che non conosceva: una stanza tranquilla, con libri ovunque. Una donna seduta alla scrivania lo guardava, ma non era una persona che Ron avesse mai incontrato prima... o forse sì? Non riusciva a capire, ma quella figura, quella scrittrice, sembrava familiare. Una sensazione di déjà-vu, come se avesse già vissuto quel momento.
"Tu... tu sei..." balbettò, il respiro che si fermava mentre l'istinto gli diceva che sapeva esattamente chi fosse quella donna.
"Joanne" rispose lei con calma, come se avesse già previsto quella domanda. "Sì, proprio io."
Ron la fissò incredulo. Non riusciva a credere a quello che stava sentendo. Il suo cuore accelerò, e la rabbia cominciò a farsi strada. "No! Non può essere vero!" urlò, facendo un passo avanti. "Non ci credo! Tu... tu sei lei? La persona che ha creato tutto questo? La persona che mi ha messo in una storia, in un libro, come se fossi solo un comprimario!"
Joanne lo guardò, non sorpresa dalla sua reazione, ma con un'espressione che tradiva una certa tristezza. "Ron, capisco che ti possa sembrare ingiusto. Ma non è stato facile neanche per me."
Ron non la lasciò finire. "Ingiusto?! E tu dici che non è stato facile? Guarda cosa mi hai fatto! Sei tu che mi hai messo in ombra, che hai creato Harry Potter come se fosse l'unico a contare! E io? Io sono sempre stato il secondo, il migliore amico, ma mai il protagonista! Avresti potuto farmi più grande! Avresti potuto darmi più importanza, più coraggio, più... tutto! E invece mi hai lasciato lì, a fare da spalla!"
Le parole di Ron erano cariche di frustrazione, rabbia e una punta di dolore che era stato represso per anni. Joanne si sentì in colpa, come se quella verità che aveva sempre evitato fosse ora esplosa in faccia. "Ron, non ho mai voluto farti sentire così. Ho scritto la tua parte come... come un amico. Ma sì, avrei potuto fare di più. Mi dispiace davvero. Forse non ti ho dato il giusto spazio."
Ron, preso dall’emozione, si passò una mano tra i capelli, quasi cercando di scacciare quei pensieri che lo avevano assillato per tutta la vita. "E adesso? Cosa devo fare con questa rabbia? Cosa posso fare con tutto questo che mi hai fatto vivere?"
"Quello che vuoi, Ron," rispose Joanne con calma. "Adesso è il tuo momento. Non sono più io a decidere, non sono più io a scrivere la tua storia. Sei tu il protagonista della tua vita."
Ron la guardò per un attimo, confuso. Ma poi, qualcosa dentro di lui si accese. Non era più solo un personaggio, non era più solo il miglior amico di Harry. Era un uomo, con il diritto di scegliere il proprio destino.
"Sì," disse lentamente. "Io sono Ron Weasley. E nessuno, nemmeno tu, mi farà sentire meno di quello che sono."
Improvvisamente, Ron sentì un altro bagliore di luce, e si trovò di nuovo davanti a Voldemort, come se non fosse mai scomparso. Ma qualcosa era cambiato. La sua mente era più chiara, il suo cuore più solido. E, mentre Voldemort stava esultando per la morte di Harry, Ron si sentì in grado di fare qualcosa che non aveva mai fatto prima: sfidarlo.
"Non sei tu che decidi il mio destino," sussurrò, con la rabbia che si stava trasformando in determinazione.
Tuttavia, un'ombra sinistra sembrava essersi spostata sopra di lui, un pensiero che Ron non aveva mai considerato. Un leggero sussurro in fondo alla sua mente: "Ancora lei, quella scrittrice da due soldi..." Era Voldemort, che aveva avvertito qualcosa di strano. Non riusciva a capire cosa fosse, ma sentiva che non sarebbe mai stato lo stesso da quel momento.
Joanne si trovava davanti alla sua scrivania, una tazza di tè ormai fredda accanto a una montagna di appunti e bozze. L'aria era pesante, carica del rumore silenzioso di parole che non arrivavano mai abbastanza veloci sulla pagina. L'ultimo libro stava per essere concluso, ma qualcosa sembrava ancora mancare. Forse era il finale, o forse era una sensazione più profonda. Qualcosa la tormentava da giorni.
All'improvviso, un fruscio, come una brezza che attraversa una stanza vuota. Poi, la sensazione che il mondo attorno a lei stesse cambiando, deformandosi. Un portale apparve davanti ai suoi occhi, la luce che emanava sembrava calda e familiare, ma anche stranamente inquietante. Joanne non sapeva come, ma sapeva che doveva affrontarlo.
“Non può essere,” mormorò tra sé, la mente che correva, cercando di comprendere. Poi, guardando meglio, capì. La figura davanti a lei non era Voldemort. Era qualcun altro.
Ron.
Ron Weasley, il ragazzo che aveva creato, ma che forse non aveva mai veramente compreso fino in fondo. Lo vedeva davanti a sé come se fosse la prima volta. Non l'eroe, non il fratello minore, non l'amico fedele. Ma Ron. Il ragazzo con i suoi sogni, le sue frustrazioni, il suo coraggio silenzioso che aveva sempre nascosto dietro le battute e i sorrisi nervosi.
Ron non sembrava sorpreso. Il suo sguardo, che l’aveva immaginato tanto spesso nel corso degli anni, era pieno di un misto di confusione, rabbia e una sottile tristezza.
“Tu,” disse Ron, con voce calma ma tremante. “Tu… sei lei.”
Joanne fece un passo indietro, il cuore che le batteva forte nel petto. Non c'era dubbio: Ron l'aveva riconosciuta. Ma come poteva capire? Come poteva sapere?
“Mi hai creato,” disse lui, il tono diventato più duro. “Mi hai creato, e poi mi hai messo da parte. M’hai fatto vivere, ma solo per farmi sembrare… niente. La spalla di Harry, sempre dietro, mai abbastanza.”
Joanne sentì il peso delle sue parole. Ogni singola critica che Ron le lanciava era giusta, eppure lei non riusciva a rispondere, non riusciva a difendersi. Lo sapeva, in fondo. Lo sapeva che, in qualche modo, aveva sempre messo Ron in ombra. Sempre. Perché Harry doveva essere il protagonista, il prescelto. Ma Ron era così tanto di più di quello che lei gli aveva permesso di essere.
“Non è mai stato giusto,” continuò Ron, il suo sguardo diventato più intenso, ma anche più triste. “Perché io dovevo essere sempre dietro? Perché non potevo essere io il vero eroe, o almeno qualcuno che non fosse solo il miglior amico?”
Joanne non sapeva come rispondere. Ogni parola che usciva dalla bocca di Ron era come un colpo al cuore. Non poteva negarlo. Si sentiva in colpa, eppure non aveva mai avuto il coraggio di affrontare quella verità.
“Scusa,” disse infine, a voce bassa, quasi sussurrando. “Non ho mai voluto che fosse così. Ma tu… tu sei il collante di tutto. Senza di te, Harry non sarebbe mai stato quello che è. E nemmeno Hermione.”
Ron la guardò per un momento, il suo sguardo che passava da furioso a deluso, e poi, con un'espressione che non riusciva a decifrare, abbassò lo sguardo. “Sì, lo so. Ma lo dovevi capire prima. Mi hai fatto sentire invisibile.”
Un silenzio teso riempì la stanza. Poi, improvvisamente, la luce del portale divenne più intensa, e Joanne si accorse che il mondo attorno a loro stava cambiando ancora una volta. Il viso di Ron, il suo corpo, svanivano lentamente. Un'altra figura, una presenza oscura, si stava avvicinando: Voldemort.
La figura del Signore Oscuro si materializzò davanti a lei, e le parole che aveva sentito da lui, anni prima, tornarono a galla: “Ancora lei, quella scrittrice da due soldi.”
Joanne non poté fare a meno di sorridere amaramente. Non c'era bisogno di altro. In quel momento, la consapevolezza che tutto fosse finito le riempì il cuore, ma non con paura. Piuttosto con una strana sensazione di pace. Aveva fatto quello che doveva fare. Aveva scritto la sua storia, quella di Ron, di Harry, di Hermione. E ora, alla fine, sentiva che era giunto il momento di lasciarli andare.
Ron, il ragazzo che aveva tanto da dire ma che nessuno aveva ascoltato, non c’era più. E Voldemort, il nemico che l'aveva tormentata per anni, l'aveva finalmente riconosciuta, ma senza più la forza di minacciarla. Joanne aveva vinto. La sua storia, la sua eredità, erano state completate. E adesso, in quella quiete improvvisa, lei poté finalmente respirare.
Con un sorriso sereno, Joanne si lasciò cadere indietro, consapevole che, nonostante tutte le difficoltà, il suo lavoro era finito. La sua fine stava arrivando, ma non aveva paura. Era pronta a riposare.