La foresta era avvolta da un silenzio pesante, solo il fruscio delle foglie sotto i passi di Lupin rompeva l'oscurità. Ogni movimento era calcolato, ogni respiro misurato. Non era più il professore di Difesa contro le Arti Oscure che conoscevano a Hogwarts. Ora era un lupo tra lupi, e ogni suo passo doveva essere giustificato. Lupin si era infiltrato nel branco di Fenrir Greyback, il capo dei lupi mannari, per una missione che lo aveva messo a dura prova. Era lì per fermare l'esercito che Fenrir stava raccogliendo per Voldemort, ma Lupin sapeva che la lotta non sarebbe stata semplice. Non era solo una questione di magia. Era una questione di sopravvivenza. Ogni giorno passato nella foresta con i mannari lo cambiava un po di più. Fenrir lo osservava con diffidenza, come se cercasse di scavare più a fondo nella sua anima. Sapeva che Lupin nascondeva qualcosa, ma non aveva ancora capito cosa. Ogni mossa di Lupin veniva scrutinata, ogni parola messa sotto esame. Non sarebbe stato facile guadagnarsi la fiducia di Fenrir e del suo branco. Ogni giorno, Lupin si trovava più vicino a un passo fatale, ma ogni giorno, anche, sentiva la sua forza crescere. Fenrir non si stancava mai di ripetere il suo credo: Il Signore Oscuro non ha eguali, e la sua causa è la nostra causa. Ogni uomo, ogni mago, deve inginocchiarsi davanti a lui. E noi, lupi mannari, siamo la sua forza. La sua legione. E chi non lo capisce, sarà annientato. Le sue parole erano dure, ma suonavano vuote, come se le stesse recitando. Era evidente che stava cercando di convincere i membri del branco, ma non riusciva a nascondere la stranezza del suo tono, come se stesse mentendo a se stesso tanto quanto agli altri. Lupin non poteva fare a meno di osservare Fenrir. Le sue parole suonano come una dichiarazione di guerra, ma la sua intenzione di tenere il suo esercito sotto controllo, di usarlo per i propri scopi, era evidente. Voldemort, per Fenrir, era solo uno strumento da utilizzare, e la sua fedeltà al Signore Oscuro non era altro che una maschera, un gioco di potere che nascondeva un desiderio di dominio. Fenrir aveva sempre desiderato controllare le terre, ma ora voleva usare Voldemort per ottenere ciò che desiderava. Eppure, c'era qualcosa in lui che non quadrava, una crepa nella sua facciata di fedeltà. Una sera, mentre il fuoco crepitava nel campo, Fenrir si avvicinò a Lupin con uno dei suoi sguardi penetranti. Lo sai, David, disse, la sua voce bassa ma minacciosa, il Signore Oscuro ci ha scelti per un motivo. Non siamo semplici lupi. Siamo la sua forza. E tu, tu che tifai chiamare mago, dovrai imparare ad abbracciare questa forza. Lupin si limitò a rispondere con un cenno. Non si fidava di lui. Sapeva troppo bene che Fenrir stava cercando di manipolarlo. Voldemort non è la soluzione, mormorò tra sé e sé, ma non osò pronunciare le parole ad alta voce. Fenrir avrebbe potuto sentirlo, e quello avrebbe significato la fine. Nonostante la costante tensione, Lupin continuava a guadagnarsi la fiducia del branco. Con il passare dei mesi, si abituò a vivere tra loro. La sua magia era sempre pronta, ma la usava con cautela, nascosta nell'ombra. Se qualcuno lo attaccava mentre era umano, rispondeva con la bacchetta, ma lo faceva in modo rapido e preciso, mai ostentato. Una notte, mentre stava vagando nel buio per meditare, fu aggredito da un altro mannaro. Era un ragazzo giovane, con occhi selvaggi e mani artigliate, pronto a squarciarlo senza esitazione. Lupin, sempre più pronto a reagire, estrasse la sua bacchetta con rapidità.
"Exsultare Obscurus!"
Un'onda di energia oscura esplose dalla bacchetta di Lupin, colpendo il giovane mannaro e facendolo volare via. Il ragazzo rotolò nel fango, stordito, ma si rialzò velocemente. Era furioso, ma Lupin non si mosse, i suoi occhi pieni di determinazione. La sua mente correva, cercando di arginare la parte selvaggia che stava per emergere. Fenrir apparve tra gli alberi, la sua figura massiccia e minacciosa. Non si sorprese che Lupin sapesse usare la magia. Fenrir era mago, come tutti nel suo branco. Ma ciò che lo infastidiva era la costante sfida che Lupin rappresentava. Non pensare di sfuggire alla mia sorveglianza, disse Fenrir, la voce tagliente come una lama. Tu sei uno di noi ora, David. E non dimenticarlo. Se pensi di fare il doppio gioco, il branco ti distruggerà. Lupin non rispose. Sapeva che Fenrir stava cercando di spingerlo oltre, mettendolo alla prova. Ma c'era una parte di lui che, ogni giorno che passava con il branco, stava cedendo. Il desiderio di cedere alla natura dei lupi mannari, il desiderio di uccidere, di distruggere, lo tormentava. Ma ogni volta che il pensiero si faceva strada, si ricordava di Harry, di Sirius, di James e Lily. Non poteva tradirli. Non poteva permettere che la sua rabbia prendesse il sopravvento. Non ancora.
Lupin, sotto il falso nome di David, si era ormai integrato nel branco di Fenrir, vivendo da mesi tra lupi mannari che si lasciavano guidare solo da ferocia e istinti primitivi. Fenrir, tuttavia, non aveva ancora deciso se fidarsi completamente di lui. Il capo del branco desiderava mettere alla prova la sua lealtà una volta per tutte. Una sera, Fenrir convocò Lupin e gli disse che avevano una missione per il Signore Oscuro. Avrebbero dovuto recuperare un oggetto rubato da una fattoria nei paraggi, una missione apparentemente semplice ma, in realtà, carica di secondi fini. Raggiunsero la fattoria sotto il cielo scuro, l’aria era pregna di tensione. All'interno della casa, una famiglia ignara si stava preparando per la notte, ma un senso di paura li avvolse quando udirono i rumori sinistri provenienti dall'esterno. Sentivano che una bestia affamata si aggirava attorno alla casa, pronta ad attaccare. “L’oggetto che cerchiamo è lì dentro,” disse Fenrir, puntando la casa con un sorriso crudele. “È ora che tu dimostri la tua fedeltà al nostro branco e alla nostra causa. Entra e fai ciò che deve essere fatto.” Mentre Lupin tentava di combattere il richiamo feroce della luna, Fenrir lo colpì alle spalle con la bacchetta, mormorando un incantesimo oscuro che generava il flusso di una luna piena invisibile:
“Lycantropus Versipellis!”
Lupin avvertì il dolore lacerante della trasformazione, i suoi muscoli si contraevano e la sua mente veniva avvolta da un’oscurità primordiale. Con gli occhi ancora umani, colse l’orrore negli sguardi della famiglia all'interno.
Poi, tutto divenne buio.
Fenrir, mantenendo una certa distanza, osservava con una combinazione di fascino e cautela. Il suo odore di alfa era sufficiente a tenere a bada Lupin, ormai diventato una bestia furiosa. Il lupo mannaro che era stato Remus Lupin si scagliò sulla casa, distruggendo tutto sul suo cammino. Le urla di terrore echeggiarono nella notte, mentre Lupin, in preda alla follia indotta dall’incantesimo di Fenrir, divorava la sua preda con violenza inarrestabile. La lealtà e il controllo di Lupin erano messi a dura prova, mentre Fenrir, dall'ombra, osservava con un ghigno, soddisfatto di aver mostrato al suo branco il potere brutale e indomabile che era in grado di evocare.
La luce del mattino filtrava tra i rami della foresta. Remus Lupin aprì gli occhi lentamente, sentendo il terreno freddo e umido sotto di sé. Aveva una sensazione di vuoto nel petto, eppure il suo cuore batteva forte, come se avesse appena terminato una battaglia. Le immagini della notte precedente, però, riaffiorarono in un lampo doloroso: il massacro, le urla della famiglia, il sangue che impregnava la terra sotto le sue zampe di lupo mannaro. Con un grido soffocato, Lupin si coprì il volto. L'orrore lo travolse. Non era più un mago, un uomo, ma un mostro, esattamente come lo avevano sempre accusato di essere. Senza pensare, si alzò in piedi e fuggì, scomparendo nella fitta vegetazione. Trovò rifugio in una caverna oscura, dove si rannicchiò su se stesso, scosso dai singhiozzi. Ogni pensiero era rivolto alle persone che aveva tradito: Harry, Silente, James e Lily, che avevano sempre creduto in lui. Il rimorso lo lacerava. “Come ho potuto?”, si chiese a bassa voce, sentendo il peso della vergogna. Ma mentre la luce del giorno iniziava a scendere, un pensiero emerse. Silente lo aveva mandato lì non solo per spiare, ma per lasciare un segno, un messaggio. Lupin si sollevò, spinto da un’energia nuova, un’ultima scintilla di speranza: poteva almeno tentare di far comprendere a quei mannari che non erano obbligati a servire il Signore Oscuro. Deciso, tornò nel territorio del branco. Trovò Fenrir e gli altri riuniti attorno a un fuoco, le loro figure sinistre proiettate sul terreno. Con passi pesanti, si fece avanti e si fermò davanti a loro, gli occhi ancora rossi per il pianto, ma risoluti. Fenrir lo fissò, un ghigno sardonico sul volto. “Tornato per un'altra notte di caccia, David?” chiese, la voce carica di disprezzo. “Mi chiamo Remus Lupin,” rispose Remus con voce ferma. “E sono qui per darvi un messaggio: non esiste solo Voldemort. Silente vi offre un'altra strada. Non dovete essere schiavi, non dovete essere mostri. Potete scegliere di essere liberi, e lottare come eroi, non come assassini.” Il branco si zittì, mentre Fenrir scoppiò in una risata feroce. “Silente? Quell’illuso vecchio codardo? Crede di poterci domare? Noi siamo predatori, Lupin. L’unica verità è che ci uniremo a Voldemort e conquisteremo ciò che ci è dovuto!” Lupin si avvicinò, il volto segnato dalla determinazione. “Non tutti qui credono che Voldemort sia la loro unica scelta, Fenrir,” sibilò. “E quando sarà il momento, qualcuno si ricorderà delle mie parole.” Fenrir non aspettò oltre e si scagliò su Lupin con un ringhio. Iniziò uno scontro brutale, fatto di morsi, artigli, ma anche di incantesimi lanciati a mezz’aria, scintille di luce verde e rossa che illuminavano la foresta. Lupin si difese con forza, ma sapeva di non poter vincere: la bestia in Fenrir era letale, inarrestabile. Con un ultimo incantesimo, riuscì a distrarre il branco e a fuggire, scomparendo nella notte. Fenrir si rialzò, furioso e ricoperto di graffi. Lo seguì con lo sguardo finché non scomparve tra gli alberi, poi si voltò verso il suo branco. “Non ascoltate le parole di quel codardo. Silente e i suoi seguaci non fanno per noi.” Quando il branco si allontanò, Fenrir rimase da solo, parlando a bassa voce. “Voldemort... che sciocchezza.” Il tono si fece amaro. “Quando la guerra sarà finita, io sarò libero. E nessuno, nemmeno il Signore Oscuro, potrà fermarmi.” Sollevò la bacchetta e pronunciò con voce grave l’incantesimo della trasformazione, un potere che solo lui possedeva.
“Mutatio Lunaris.”
Il suo corpo si contorse, le ossa si allungarono, il muso spuntò dal volto umano. Quando la trasformazione fu completa, un lupo mannaro selvaggio si allontanò nella notte. Le sue fauci gocciolavano bava, e una nuova vittima, ignara, attendeva l’arrivo del predatore.
Creata da James Potter, Sirius Black, Remus Lupin e Peter Minus, questa mappa rivela ogni angolo di Hogwarts e i movimenti di chiunque, un must per ogni vero malandrino.
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