La casa dei Malfoy, situata nella campagna inglese, non era solo una dimora: era un rifugio imponente, una fortezza che sapeva di antichità e potere. Le stanze erano eleganti e fredde, arredate con mobilio lussuoso ma privo di calore. Non c'era nulla di accogliente nella casa dei Malfoy, nulla che suggerisse affetto o conforto. La sola cosa che brillava davvero era l'orgoglio della famiglia, un orgoglio che si rifletteva in ogni angolo della dimora. E, soprattutto, in Draco Malfoy.
Fin da piccolo, Draco aveva imparato a vivere tra le ombre di un padre severo e un mondo che gli veniva mostrato come perfetto. La sua infanzia era costellata di lezioni impartite da Lucius Malfoy, il padre che sembrava più una figura di potere che un genitore. Ogni giorno, Draco riceveva un'infinità di comandi, critiche e aspettative. Non doveva mai abbassarsi al livello degli altri bambini. Doveva essere migliore, più intelligente, più puro. Il mondo dei Malfoy non prevedeva spazio per l'indulgenza, e questo era evidente anche nei modi impassibili di Narcissa, sua madre, che, pur essendo dolce nei suoi gesti, non si opponeva mai a Lucius. Draco era il loro orgoglio, ma anche il loro investimento. Doveva diventare il più grande dei Malfoy, e questo significava fare qualsiasi cosa fosse necessaria per mantenere intatta la loro reputazione.
"Non dimenticare mai chi sei, Draco," gli ripeteva Lucius con voce grave, mentre il bambino lo guardava con occhi spalancati, pieni di un mix di ammirazione e paura. "Niente di meno della perfezione è accettabile per un Malfoy."
La perfezione era qualcosa che non si raggiungeva mai davvero. Era un obiettivo sfuggente, costantemente appeso davanti a Draco, ma che sembrava impossibile da afferrare. Ogni volta che commetteva un errore, ogni volta che non rispondeva con la rapidità o l'intelligenza che ci si aspettava da lui, Lucius diventava freddo e distante. Era come se il padre volesse che Draco fosse una copia esatta di se stesso, un ragazzo senza difetti, senza incertezze, senza paura.
Ma Draco non era perfetto. Dentro di sé, sentiva una marea di emozioni che non riusciva a contenere. C'era un'ombra di inadeguatezza che lo inseguiva, un pensiero che gli diceva che non sarebbe mai stato all'altezza. Nessuno gli dava affetto in modo genuino, nessuno lo confortava nei momenti di incertezza. La sua vita era un continuo confronto con gli altri, una gara in cui non si poteva mai perdere. L'unico modo per sopravvivere in quella casa era vincere, e Draco aveva imparato presto che l'unico modo per vincere era mostrare una facciata di superiorità. Doveva sembrare più forte, più sicuro, più spavaldo di quanto si sentisse veramente.
A Hogwarts, la sua ossessione per la perfezione divenne ancora più marcata. Là, il nome Malfoy aveva un certo peso, ma ciò che davvero contava era essere riconosciuto come il migliore, e Draco lo sapeva bene. Quando incontrò Harry Potter, il ragazzo famoso che sembrava avere tutto ciò che Draco non aveva mai avuto - l'amicizia sincera, la lealtà, la capacità di essere amato da chiunque - un'emozione che Draco non riusciva a gestire affiorò in lui: invidia. Harry non doveva fare nulla per essere amato, mentre Draco doveva combattere ogni giorno per mantenere il suo posto, per non sembrare debole.
Le sue angherie nei confronti di Harry, Ron e Hermione, non erano solo bullismo: erano il risultato di anni di pressione. Cercava di emergere, di mostrarsi al di sopra di tutto. Era una maschera che non riusciva a togliersi, una maschera che a volte non riusciva nemmeno a riconoscere come tale.
Draco, però, non era solo il bullo arrogante che appariva. Dentro di lui, sotto quella corazza che si era costruito, c'era un ragazzo che non voleva altro che sentirsi amato, che desiderava una vita senza la costante pressione del suo nome e della sua famiglia. Ma quella parte di lui veniva soffocata ogni volta che Lucius lo guardava con occhi di disapprovazione. Ogni volta che Draco falliva, anche leggermente, il giudizio del padre lo faceva sentire come se fosse inutile, come se non fosse mai abbastanza.
Il suo carattere si forgiò in quell'ambiente. Ogni volta che un'altra persona lo feriva o lo faceva sentire insignificante, Draco si chiudeva ancor di più nel suo guscio, diventando più duro, più acido, più arrogante. Si convinse che il mondo non avrebbe mai avuto posto per chi non era come lui. Non c'era posto per i deboli. Non c'era posto per i vulnerabili. Solo i forti, quelli che non mostravano mai le loro debolezze, quelli che non chiedevano mai aiuto, avevano diritto di esistere. Così, Draco creò la sua persona, una maschera di prepotenza che lo proteggeva, ma che lo allontanava da chiunque altro.
La sua infanzia non lo aveva preparato alla verità: la solitudine che derivava dal suo comportamento era l'unica ricompensa che avrebbe mai ricevuto per tutto ciò che stava facendo. Il suo posto nel mondo non era quello che desiderava, ma quello che Lucius e la famiglia Malfoy avevano deciso per lui. E mentre Draco continuava a cercare di guadagnarsi l'amore di suo padre e la sua approvazione, il ragazzo che era dentro di lui, quello fragile e insicuro, continuava a urlare in silenzio, desiderando soltanto un po' di calore umano.
La nebbia fitta che avvolgeva Azkaban sembrava respirare insieme alla prigione, come un'entità viva. Le torri di pietra si stagliavano contro il cielo grigio, minacciose e silenziose, come giganti incatenati, il vento ululava attraverso le fessure e i muri, trasportando il lamento di chi vi era imprigionato. Azkaban non era solo un carcere, ma una sentenza, e la sua crudele natura era espressa in ogni angolo: il freddo pungente che penetrava fin nelle ossa, l'odore di umidità e di morte che permeava l’aria, e, soprattutto, il suono sordo e inquietante delle catene e del respiro dei dissennatori. Lì dentro, il tempo sembrava smettere di scorrere, come se la prigione fosse sospesa in un eterno tormento.
Draco Malfoy si avvicinò al gigantesco cancello che impediva l'ingresso alla prigione, le mani nelle tasche, i piedi sollevati appena sopra il fango e l'acqua che ricoprivano il terreno. L’atmosfera era gelida, eppure un sudore freddo gli bagnava la fronte. Non aveva mai visto la prigione da così vicino, ma il suo cuore non tremava per paura dei Dissennatori ma per la consapevolezza che quel luogo non era solo il rifugio di chi falliva, ma il simbolo di chi aveva fatto la scelta sbagliata. E Lucius Malfoy era ora uno di loro.
Entrò nel penitenziario, accompagnato da sua madre, Narcissa, la cui compostezza era l’unica cosa che ancora rendeva la situazione tollerabile. Draco si guardò intorno, ma non c’era traccia di simpatia, né di calore umano. Solo il buio e il gelo. L'unica luce che si poteva scorgere veniva dalle torce che illuminavano l’ingresso.
Attraversarono il corridoio stretto, la cui aria sembrava pesante come il piombo, e si fermarono davanti alla cella di Lucius. La porta di metallo si aprì con un suono sordo. Lucius era seduto al centro della stanza, vestito con una tunica logora, ma ancora orgoglioso nella sua postura. Quando sollevò lo sguardo, i suoi occhi erano opachi, stanchi, ma conservavano quella freddezza che tanto lo aveva contraddistinto. Non c'era traccia della grandezza di un tempo nel suo aspetto, ma Draco riusciva a vedere ancora qualcosa di pericoloso in lui.
"Niente di più sgradevole di Azkaban," disse Lucius con voce roca, ma ancora incredibilmente autorevole. "Dovresti sapere, Draco, che l'odore della sconfitta non è mai facile da sopportare."
Draco fece un passo avanti, il viso impassibile ma gli occhi penetranti. "Ti sei mai chiesto, padre," disse, "se forse il vero fallimento sia stato il nostro intero sostegno a quell'uomo? Quell'uomo che ora ci ha traditi."
Lucius non reagì subito, ma il suo sguardo si fece più intenso. "Non è mai stato un tradimento," disse infine, "è una questione di sopravvivenza. E tu, mio figlio, dovrai imparare che non possiamo permetterci il lusso della moralità. L’ideale del Signore Oscuro è ciò che ci ha dato la forza di essere ciò che siamo. Non ti illudere."
"Ma non possiamo più seguire un uomo che ha perso il controllo," ribatté Draco, la sua voce più ferma ora. "Se fosse così forte, non ci troveremmo in questa situazione."
Lucius guardò il figlio, e per un attimo sembrò vacillare. "Il Signore Oscuro ha i suoi difetti, Draco. Ma è anche l'unico che ha saputo imporre ordine nel caos. Non possiamo abbandonarlo, anche se ogni giorno è più difficile."
"Allora dov'è la lealtà?" chiese Draco, un po’ di rabbia nei suoi occhi. "Cosa ci rimane, se il nostro padrone non è più l'uomo che pensavamo? Che facciamo ora?"
Lucius si alzò lentamente, avanzando verso le sbarre della cella. "Mi fido di te, Draco. Ma devi capire che ora il tuo ruolo è cambiato. Ora sei tu a dover prendere il mio posto come Mangiamorte, non io. Ti verrà chiesto di scegliere tra il potere e la verità. Non credo più che il Signore Oscuro possa vincere questa guerra, ma non posso dirlo. Se lo facessi, la nostra famiglia verrebbe distrutta. Quindi, da ora in poi, devi navigare tra le sue aspettative e le tue. Devi avere cura di te, Draco, e non dimenticare mai da che parte stai."
Le parole di Lucius penetrarono nel cuore di Draco come un pugnale. Il suo ruolo nel futuro era già scritto, ma non voleva essere una marionetta nelle mani di un padrone che ormai considerava debole. "Non ti preoccupare, padre," disse infine, con una calma glaciale. "So come fare."
Quando Lucius lo guardò, si rese conto che il figlio stava già cambiando. L'orgoglio che aveva sempre riposto in lui, quello che aveva sempre sperato di trasmettergli, stava diventando qualcosa di diverso: una versione di se stesso, ma anche di più.
Ma in fondo, in cuor suo, Lucius non riusciva a scrollarsi di dosso un dubbio. Non sapeva più se quello che stava facendo fosse giusto. Eppure, ogni volta che guardava negli occhi Draco, si ricordava che non c’era altro che quella via, quella strada che li aveva portati fin lì, e che ora toccava a suo figlio percorrere.
Il silenzio dentro villa Malfoy era denso di tensione. Lucius e Narcissa si trovavano in una stanza lontana, mentre Draco camminava lentamente verso il centro della sala, dove Harry Potter e i suoi compagni di avventura erano legati e sotto stretta sorveglianza. La sua mente era in subbuglio. Non aveva idea di come sarebbe andata a finire quella notte, ma sapeva che il momento in cui avrebbe dovuto riconoscere Harry sarebbe stato cruciale. Ogni passo che faceva, ogni respiro che prendeva, lo avvicinava al suo destino.
Poi accadde qualcosa di strano. Quando si trovava a pochi passi da Harry, il buio calò improvvisamente, come se tutto intorno a lui fosse stato risucchiato da un abisso invisibile. Un istante prima che i suoi occhi incontrassero quelli di Harry, Draco fu inghiottito dall'oscurità. Non sentì alcun suono, nessun rumore di passi o di voci. Solo il vuoto.
Quando il buio si diradò, Draco si ritrovò in un ambiente completamente diverso. La stanza era silenziosa, ordinata, eppure c'era qualcosa di inaspettato nell'aria. Non riusciva a comprendere subito dove fosse, ma il disagio che provava era immediato. Un grande tavolo, libri sparsi, fogli e penne che sembravano aspettare di essere toccati. E poi, un volto familiare, una figura che lo guardava senza paura.
"Benvenuto," disse la scrittrice, la donna che aveva visto nei suoi sogni, che sapeva di essere presente da qualche parte nella sua vita. La figura di Joanne stava seduta dietro un grande scrittoio, con lo sguardo fermo e tranquillo. "Spero tu stia bene. So che sei sorpreso."
Draco, all'inizio confuso, poi realizzò. "Tu..." La rabbia e il disprezzo che aveva sempre avuto per la scrittrice cominciarono a montare dentro di lui. "Tu sei quella che ha deciso tutto, che ha scritto tutto. Sei tu che mi hai condannato a essere ciò che sono!"
Il suo tono si fece più intenso, e le sue parole più cariche di dolore. "Perché? Perché mi hai fatto diventare un eterno sospettato, odiato da tutti? Perché hai scelto di farmi essere il bullo, l’arrogante, l'idiota? Perché mi hai dato quella faccia da cattivo che tutti mi hanno addossato, quando dentro di me c'era tanto di più da offrire?"
La voce di Draco tremò, e le lacrime iniziarono a scorrere senza che riuscisse a fermarle. Il suo volto si contorse in un'espressione di rabbia e frustrazione, la mano che stringeva il lembo della tunica, come se volesse strappare via tutta la sofferenza che aveva accumulato nel corso degli anni.
"Perché mi hai fatto vivere così?" urlò. "Perché mi hai messo su una strada che non posso abbandonare, che non posso cambiare? Perché non mi hai dato una possibilità di essere qualcosa di diverso?"
Joanne non si mosse, ma il suo sguardo era pieno di comprensione. "Lo so, Draco," disse con calma. "Lo so. Ho visto tutto. Ho visto come ti sei sentito intrappolato tra la tua famiglia e le tue scelte. Ho visto come non avevi altra via da percorrere, se non quella che ti veniva imposta. Ma ora sei qui, e questo significa che hai ancora la possibilità di scegliere."
Draco, con il viso bagnato dalle lacrime, la guardò con occhi pieni di incredulità. "Sciegliere? E come? Sono un prigioniero della mia stessa vita!"
"Non sei un prigioniero, Draco. Non lo sei mai stato. Hai sempre avuto la possibilità di cambiare, ma devi farlo tu. Nessun altro può farlo per te."
Un silenzio pesante calò nella stanza, e Draco si lasciò cadere in una sedia, il corpo stanco e il cuore pesante. Aveva vissuto tutta la sua vita sotto il peso delle aspettative, ma ora, in quel momento, qualcosa dentro di lui stava cambiando. La consapevolezza che forse non tutto era già scritto, che forse aveva ancora la possibilità di fare la differenza, lo colpì come una rivelazione.
Poi, il buio tornò.
Quando Draco riaprì gli occhi, si ritrovò di nuovo dentro villa Malfoy. Il suono del vento e il rumore delle voci lontane lo circondavano, ma qualcosa era diverso. L'incertezza, la rabbia che aveva provato prima, si erano dissolte, lasciando solo un senso di vuoto. Guardò Harry, ma non disse nulla. Non era più sicuro di cosa stesse accadendo. Non era più sicuro di nulla.
E quando Lucius gli chiese se fosse certo che quello fosse Harry, Draco rispose, senza esitazione: "Non so più chi sia."
Anche se nessuno si accorse del cambiamento, Draco Malfoy sapeva, dentro di sé, che qualcosa era cambiato per sempre. Non era più il ragazzo che doveva fare ciò che gli veniva detto, non era più il nemico da combattere. Non sapeva cosa sarebbe successo, ma una cosa era chiara: la guerra non sarebbe stata vinta dal male.
Joanne si trovava nel suo studio, la mente immersa nei suoi pensieri. Era abituata alle visioni. Erano diventate parte della sua vita, come la scrittura stessa. Ma quella sera, qualcosa era diverso. Il silenzio nella stanza era opprimente, carico di una tensione che non riusciva a scacciare. Guardava le pagine bianche davanti a sé, ma la sua mente era distante, lontana. Sapeva che prima o poi sarebbe arrivato anche lui. Draco Malfoy.
E quando il buio la avvolse, l’oscurità che lei aveva imparato a riconoscere come segno dell’arrivo di uno dei suoi personaggi, non fu una sorpresa. Ma, dentro di sé, un senso di inquietudine l’aveva pervasa. Draco era sempre stato il personaggio che temeva di più. Perché, nonostante fosse uno dei più complessi, più tormentati, lei lo aveva scritto come il rivale di Harry, come il ragazzo arrogante e pieno di pregiudizi, ma anche così disperato e intrappolato dalla sua famiglia, dai suoi doveri, dai suoi errori.
Quando il buio svanì, la figura che si stagliò davanti a lei non era una sorpresa, ma le sue mani tremavano leggermente mentre posava gli occhi su di lui. Draco Malfoy, in piedi davanti a lei, con lo stesso sguardo di sfida che aveva sempre avuto. Il ragazzo che, più di tutti, le aveva chiesto una redenzione che non riusciva mai a ottenere, se non nei suoi momenti più dolorosi.
"Tu..." Draco parlò per primo, la voce tesa. "Sei tu. La scrittrice."
"Draco," rispose lei, la sua voce calma ma con un'accennata esitazione. "Sì, sono io. Ma credo che tu già lo sapessi."
Lui la guardò intensamente, i suoi occhi grigi pieni di una rabbia che non riusciva a nascondere. "Perché?" La domanda arrivò come una pugnalata. "Perché mi hai fatto diventare ciò che sono? Perché mi hai messo su questa strada? Perché non mi hai dato la possibilità di essere altro?"
Joanne si sentì colpita da quelle parole, non per la prima volta. Le aveva sentite già dentro di sé, durante la scrittura. Quella domanda, quella domanda che Draco le aveva posto innumerevoli volte nei suoi pensieri, e che ora pronunciava con tanto dolore. "Non è così semplice, Draco. Non ero solo una scrittrice. Ho dato voce alla tua storia perché era quella che avevi bisogno di raccontare."
"Per raccontare cosa?" urlò lui, con le mani strette a pugno. "Per fare di me il cattivo della storia? Per farmi diventare l'odiato, l'arrogante, l'infame?"
Un'altra scintilla di dolore attraversò il volto di Joanne. "Non volevo farti diventare un cattivo, Draco. Non ti ho creato per essere odiato. Ti ho scritto per mostrare la tua sofferenza, la tua lotta. Non sapevo cosa sarebbe diventato il tuo cammino. Non avevo idea che le tue scelte ti avrebbero portato su questa strada."
Draco fece un passo avanti, avvicinandosi a lei con una furia che non poteva più nascondere. "Eppure, mi hai descritto come uno che non aveva scampo. Come uno che sarebbe stato sempre intrappolato in una guerra che non aveva scelto, in una famiglia che non mi ha mai dato la possibilità di essere libero. Tu mi hai messo su una strada, e ora io sono solo un riflesso di quello che tu hai deciso per me!"
"Non è vero," rispose lei, finalmente con fermezza. "Hai sempre avuto la possibilità di scegliere, Draco. Ogni personaggio che scrivo ha sempre la possibilità di cambiare, ma tu non l’hai mai visto. E non è colpa mia, è colpa delle tue paure."
"Paure?" Draco rise, ma era una risata amara. "Ho paura di vivere, ho paura di scegliere, ho paura di essere odiato. E tu, tu mi hai dato solo il peso di essere ciò che sono. Non hai mai pensato che avrei potuto fare qualcosa di più?"
Joanne lo guardò con occhi pieni di una triste comprensione. "Non è che non ci ho pensato. È solo che la tua storia, la tua vita, non è mai stata facile, Draco. Ho scritto di te perché tu fossi un riflesso della lotta tra il bene e il male, ma anche tra ciò che si è costretti a fare e ciò che si vorrebbe essere."
Draco si fermò, le sue mani tremavano ora senza rabbia, ma con un dolore che non riusciva a sopportare. "E ora?" chiese, la voce più bassa. "Cosa succede ora?"
Joanne sospirò, guardandolo con empatia. "Ora... ora sei pronto a fare una scelta. Non importa cosa io abbia scritto, Draco. Tu puoi ancora cambiare la tua storia. Non è troppo tardi per fare la cosa giusta."
Il silenzio riempì la stanza. Draco stava guardando nel vuoto, come se qualcosa fosse cambiato dentro di lui. Poi, lentamente, il buio tornò a circondarlo. Joanne lo osservò, il cuore pesante, ma anche con una sensazione di sollievo. Non per la sua colpa, ma per la consapevolezza che, forse, Draco Malfoy aveva finalmente trovato un piccolo spiraglio di speranza.
E quando il buio scomparve, Draco era tornato al suo posto, nel salone di villa Malfoy, pronto a compiere il suo destino, ma con un sentimento diverso. Non era più lo stesso ragazzo che aveva conosciuto, ma nemmeno il ragazzo che aveva scelto di seguire Voldemort.
Joanne si strinse nelle spalle. La guerra era ancora lontana dalla fine, ma una cosa era certa: anche il più oscuro degli eroi aveva la possibilità di riscrivere la propria storia.