Piton entrò nella stanza di Sirius Black con passo pesante. L'aria era gelida e stagnante, come se le mura stesse avessero assorbito la malvagità di quel luogo. Non c'era nessuno che potesse impedire a Piton di entrare in quel posto, nessuna barriera che potesse fermarlo. Era solo, ma non era mai stato più lontano da se stesso.
La morte di Silente lo aveva scosso come pochi altri eventi avevano fatto nella sua vita. Non si trattava di un semplice colpo alla sua alleanza con il preside. Si trattava di un vuoto che ora aveva preso il posto di qualcosa che Piton aveva sempre cercato di proteggere, che fosse un amore perduto o un legame mai realmente raggiunto. Ma c'era una verità che lo divorava dall'interno, che nessuna apparizione, nessuna visione, avrebbe potuto mai cancellare: era stato lui a uccidere Silente.
Anche se era stato un atto necessario, una promessa fatta, qualcosa che Silente stesso aveva voluto, il gesto lo aveva cambiato in modi che nemmeno lui riusciva a comprendere. L'aveva osservato cadere lentamente, disarmato, e aveva visto il suo corpo privo di vita, come un vecchio amico che sprofondava nel silenzio. La sua coscienza si era annegata in quel momento, eppure continuava a tormentarlo. Ogni volta che chiudeva gli occhi, la scena della sua morte lo seguiva come un'ombra che non voleva mai andare via.
Piton si fermò davanti alla scrivania di Sirius, senza guardare nulla se non il caos che regnava attorno a lui. Oggetti sparsi, libri accatastati, una folla di ricordi che sembravano avvolgere ogni angolo. Eppure, qualcosa catturò la sua attenzione. Una lettera. Sembrava fuori posto, posata delicatamente sul bordo della scrivania, come se fosse stata messa lì da qualcuno che ancora sperava in un ritorno.
Piton sollevò la lettera con mani tremanti. Il suo respiro si fece più pesante, mentre il cuore batteva nel suo petto come se volesse sfondarlo. La lettera aveva una calligrafia che non aveva mai dimenticato. Lily.
Il suo viso diventò pallido come la cera, la lettera pesava come un macigno nelle sue mani. Con un colpo secco, la busta si aprì. L'interno rivelò una foto ingiallita, quella di Lily con James, sorridenti come solo i giovani amano fare. Una parte di lui li odiava ancora, l'altro, la parte più nascosta, li amava come solo un cuore rotto può fare.
La lettera era indirizzata a Sirius. Ma per Piton, ogni parola scritta sembrava come una lama che gli trafiggeva il cuore. La sua mente cominciò a cedere sotto il peso del dolore, e il ricordo di quella notte lontana, di quando aveva visto Lily per l'ultima volta, si fece più vivido che mai.
I suoi occhi iniziarono a bruciare mentre la lettera si sfuocava. Il dolore lo assalì, e cadde sulla sedia, la testa tra le mani, come se il mondo intero fosse pronto a spezzarsi.
Fu in quel momento che la visione arrivò. Un'oscurità densa e opprimente lo avvolse, il rumore del suo cuore rimbombava nelle orecchie mentre una voce sussurrava nel buio. Non era una voce che riconosceva. Non era la sua. Non era quella di Silente. Era qualcosa di… primordiale.
“Hai sempre cercato di nasconderti dietro la tua fede, Severus. Ma ora non c'è più niente da nascondere. Puoi vedere chi sei veramente.”
La voce lo attraversò come un incantesimo, facendogli sentire ogni emozione possibile, dalla paura all'odio, dalla colpa alla speranza. Poi l'oscurità si dissolse, e al suo posto apparve un volto che Piton non aveva mai visto prima: una figura misteriosa, sconosciuta, ma che irradiava una forza che lo faceva sentire inadeguato. Era una donna, eppure non lo era. Non come gli altri. La sua presenza era distante, come se provenisse da un'altra realtà, un altro mondo.
“Non sei solo Severus.” La voce era profonda, ma aveva una qualità materna, che in qualche modo lo tranquillizzava e al tempo stesso lo faceva rabbrividire. “Quello che hai fatto non è per sempre. La tua sofferenza è la tua strada.”
Piton non riusciva a staccare gli occhi dalla figura. Non capiva chi fosse, eppure sentiva che era una parte di lui. La sua forma mutava, cambiava, ed era come se potesse vedere la sua stessa anima riflessa in quella presenza. Poi l’immagine divenne più nitida, e Piton vide una figura familiare, ma non del tutto riconoscibile.
Quella figura, che si era lentamente avvicinata, gli parlò di nuovo, ma questa volta la sua voce suonava più delicata, quasi impercettibile.
“Tu sei un creatore, Severus. E ora lo capisci. Non sei solo un uomo, ma una parte di qualcosa di più grande. Un’opera che cresce tra il bene e il male. E c’è chi ti osserva, chi vede il tuo dolore.”
A queste parole, Piton vide una scena che non riusciva a comprendere del tutto. Un paesaggio, una terra sconfinata, e al centro una figura solitaria che scriveva in una stanza buia. La figura era la stessa di prima, ma ora lui la riconosceva: era… lei. La scrittrice. La stessa che, in qualche modo, aveva anche creato lui. La sua esistenza, la sua angoscia, il suo tormento. Lei vedeva lui, ma lui vedeva lei, come se entrambi fossero intrappolati in un universo che non si poteva controllare.
“Non puoi fuggire, Severus. Né da te stesso, né da ciò che sei stato creato per essere. Ma puoi scegliere.”
Piton si svegliò di scatto. Il dolore gli bruciava ancora nel cuore, ma ora sentiva una sensazione strana, come se fosse stato visto da qualcuno, come se la sua sofferenza fosse stata finalmente compresa. Non sapeva cosa fosse stata quella visione, né cosa volesse dire, ma una cosa era certa: qualcuno, o qualcosa, stava scrivendo il suo destino. E forse, per la prima volta, avrebbe potuto cambiare.
Una notte, quando la mente non smette di tormentarti e le parole sembrano un eco distante che non riesci a raggiungere, ti ritrovi sola, nel cuore della tua casa, circondata da fogli bianchi che non hanno nulla da dire. La penna in mano sembra più pesante di una spada, ogni parola che scrivi si trasforma in un peso, e la storia che una volta sembrava scorrere come un fiume impetuoso ora è un ruscello stagnante, senza vita.
Joanne sapeva che avrebbe dovuto scrivere l'ultimo capitolo di una storia che aveva portato con sé per così tanti anni, ma a quel momento la fine sembrava distante, quasi inafferrabile. Aveva sempre avuto una visione chiara, un percorso da seguire, ma ora la strada era coperta da nebbia, il futuro incerto.
Le mani tremavano leggermente mentre ripensava al personaggio che più di tutti aveva sfidato la sua capacità di scrivere: Severus Piton. La sua figura era sempre stata così complessa, una miscela di odio, amore, colpa e redenzione. Aveva sempre saputo che Piton non sarebbe mai stato solo buono o cattivo, ma quella linea sfumata che lui rappresentava l’aveva fatto diventare un enigma, un puzzle che non riusciva a risolvere del tutto.
Quella notte, mentre il vento ululava fuori dalla finestra, Joanne si accorse che i suoi pensieri cominciavano a confondersi. Le sue dita si fermarono sulla tastiera, una strana sensazione di disagio la pervase, come se qualcuno o qualcosa stesse guardando dentro la sua anima. Non era il solito blocco dello scrittore. No, questa volta era più profondo. Era come se ci fosse qualcuno che stava aspettando una risposta da lei.
Poi, senza preavviso, la stanza sembrò svanire.
Non si trattava di un sogno, ma di qualcosa di più potente, di più reale. Si ritrovò in una stanza che non riconosceva, in un luogo senza tempo, simile a una biblioteca antica, ma con qualcosa di strano nell'aria. Il silenzio era assoluto, ma dentro quel silenzio sentiva un eco.
Lì, davanti a lei, c’era Piton. Non come lo conosceva nelle pagine dei suoi libri, ma come un uomo vero, dolorante e colmo di rimorso, il volto segnato dal tormento.
“Perché l’hai fatto?” Joanne non riuscì a trattenersi. La domanda uscì spontanea, quasi un grido. “Perché l’hai ucciso? Lo sapevi cosa significava? Quello che ti ha costato?”
Piton la guardò, ma nei suoi occhi non c'era rabbia, solo una quiete disturbante. Come se il dolore che provava fosse ormai parte di lui, un fardello che portava senza speranza di liberarsene.
“L’ho fatto perché dovevo. Non ero mai più che un soldato in una guerra che non avrei mai potuto vincere. E adesso, qui, con te, sono la mia creazione, una creazione che non ha alcun significato, nessuna giustificazione.”
Le parole di Piton risuonavano, ma Joanne sentiva che in quelle parole c’era qualcosa di più profondo, qualcosa che sfuggiva alla sua comprensione. Si sentiva come se la sua stessa anima fosse stata messa a nudo davanti a lui. Ma perché? Perché proprio Piton? Perché quell'uomo così tormentato doveva portare su di sé il peso di tutto ciò che era successo?
"Non capisci. Non capisci che ti ho dato una vita, un destino, ma alla fine sei solo uno specchio delle mie stesse paure. La tua morte... la mia morte... non sono altro che un riflesso di quello che io stessa temo. La mia creazione è la mia condanna."
Joanne rabbrividì, il respiro affannoso. “Tu... mi stai dicendo che ho creato tutto questo? Ho creato te, Piton?”
Il suo sguardo fu intenso, come se stesse leggendo ogni pensiero che le passava per la testa.
“Ogni parola che scrivi, ogni scelta che fai... ha un prezzo. E non possiamo mai sapere quale sarà il suo costo.”
In quel momento, Joanne si rese conto che il blocco che stava vivendo non era solo il risultato della difficoltà di scrivere un libro. Era qualcosa di più grande, di più complesso. Forse, nella sua lotta con Piton, si stava davvero confrontando con la sua stessa creazione. Non solo con Piton come personaggio, ma con l’intero mondo che aveva dato vita, con tutte le sue sfaccettature.
Ma la verità che la scosse più di tutte fu che Piton, con tutto il suo dolore e la sua sofferenza, non era altro che un riflesso di lei stessa, della sua stessa fragilità.
Con un sospiro profondo, Joanne aprì gli occhi. Era di nuovo nella sua stanza, circondata dai fogli bianchi. Ma quella visione, quella conversazione, l’avevano cambiata. Il blocco era sparito, sostituito da una comprensione nuova. Piton, come tutti i suoi personaggi, le aveva parlato di sé stessa.
Si alzò lentamente, la penna in mano, pronta a continuare. La storia di Piton, di ogni personaggio, non era mai stata solo la sua, ma un viaggio che aveva fatto dentro le sue stesse paure e speranze. La scrittura era il suo specchio.
"Adesso, vado avanti", disse a voce alta, come se Piton l’avesse appena lasciata. "Non posso più fermarmi."
Era una sera tranquilla d'estate, una di quelle serate in cui il mondo sembra rallentare, come se l'universo avesse deciso di concedere una pausa a chiunque si trovasse nel suo cammino. Joanne, ormai una delle autrici più celebrate del mondo, sedeva in un angolo appartato di una libreria di Edimburgo. La libreria, piccola e silenziosa, aveva una luce soffusa che riempiva l’aria di una calma serenità. Le pareti erano rivestite di scaffali carichi di libri, e il profumo del legno e della carta sembrava un abbraccio silenzioso.
Aveva appena terminato un incontro con alcuni lettori, e ora si godeva il silenzio, sorseggiando una tazza di tè caldo. La sua mente vagava, come spesso accadeva in quei momenti di pace. I successi degli ultimi anni le avevano regalato una tranquillità che non aveva mai immaginato di provare. Finalmente, dopo tanto tempo, si sentiva appagata, in pace con se stessa.
Non aveva più dubbi, non più domande irrisolte sulla sua saga di Harry Potter. Tutto sembrava al suo posto. La sua creazione, il ragazzo con gli occhiali e la cicatrice a forma di saetta, aveva preso il volo. La storia era finita, e con essa una parte di lei stessa. Harry era cresciuto, aveva affrontato il suo destino, e tutto ciò che restava era solo il ricordo di un mondo che aveva preso forma sotto la sua penna.
Eppure, proprio in quel momento di apparente tranquillità, quando si sentiva completamente immersa nel mondo che aveva creato, qualcosa cambiò.
Un uomo anziano, elegante ma con un’aria misteriosa che pareva appartenere a un’altra epoca, entrò nel negozio. La porta cigolò lievemente, e il suono le fece alzare lo sguardo. Non era una persona che riconosceva, ma qualcosa in lui le sembrò familiare, come se avesse incontrato la sua figura in un sogno lontano.
L’uomo si avvicinò al bancone, il suo sguardo azzurro brillante fissava il mondo con una calma inconfondibile, come se fosse capace di vedere oltre ciò che gli occhi mostravano. Quando i loro sguardi si incrociarono, lei provò una sensazione che non riusciva a definire. Un misto di conforto e inquietudine, come se quella persona avesse attraversato la sua vita senza mai essere davvero presente.
"Posso offrirle qualcosa?" Chiese lei, sorridendo, pur sapendo che il suo cuore stava accelerando senza motivo.
L’uomo le sorrise, ma il suo sorriso non era semplice. C'era un'intensità in esso, un’inquietudine sottilissima, come se la sua anima fosse stata testimone di innumerevoli battaglie. "No, grazie. Non sono qui per il tè. Ma credo che tu abbia bisogno di risposte."
Joanne restò interdetta per un attimo. Risposte? Da chi? Da cosa? Eppure, le parole risuonavano come un'eco nel suo cuore.
L'uomo, senza dire una parola, si avvicinò ancora di più. La sua figura sembrava emanare una sorta di potere tranquillo. "Hai avuto molte domande, molte risposte. Ma c'è ancora qualcosa che ti sfugge."
"Chi sei?" chiese lei, il cuore che le batteva forte nel petto, ma non per paura. Era più una curiosità, un sentimento di conoscenza che stava crescendo in lei, come se la sua mente stesse cercando di mettere a fuoco qualcosa che non riusciva a vedere.
"Non è importante chi sono," rispose l’uomo con una voce che sembrava venire da un altro mondo. "Quello che conta è che tu hai creato un mondo, una storia. E quella storia ha una sua forza. Ma ora devi capire ciò che hai veramente fatto."
La scrittrice rimase in silenzio, cercando di decifrare le sue parole. Aveva scritto tanto su Harry, su Piton, su Voldemort... ma mai come ora sentiva che quella storia andava oltre le parole. La sua mente corse ai personaggi, ai momenti, ai significati nascosti dietro le sue stesse creazioni.
"Loro sono più di personaggi," disse lui, come se stesse leggendo i suoi pensieri. "Hai dato loro vita. E tu sei cambiata, attraverso di loro."
Joanne lo guardò ancora, cercando di comprendere. Ma non riusciva a formulare una risposta. Non riusciva nemmeno a capire come mai, di colpo, quel volto, quelle parole, quel tono... tutto le sembrava così profondamente familiare.
L’uomo le sorrise, ma questa volta la sua espressione era più triste, come se sapesse qualcosa che lei ancora non era pronta a capire. "Non è mai stata solo una storia, Joanne. Non è mai stata solo un libro. Tu hai dato loro la libertà di vivere, ma ora devi capire cosa fare con quella libertà."
Si voltò lentamente, come se avesse già preso la sua decisione. "A presto, Joanne" disse, con una voce che sembrava suonare come un addio.
E prima che lei potesse rispondere, l’uomo uscì dalla libreria, la porta si richiuse senza rumore.
Joanne rimase lì, il cuore che batteva forte, il tè ormai freddo davanti a lei. Non riusciva a comprendere completamente l’incontro che aveva appena vissuto. Ma qualcosa dentro di lei aveva cambiato forma. Come se avesse visto un frammento di qualcosa che conosceva, qualcosa che non riusciva a spiegare, ma che era stato sempre lì, in qualche angolo della sua mente.
E mentre si alzava per uscire, una sensazione di profonda consapevolezza le riempì il cuore. Quel volto, quell’uomo, quelle parole... tutto aveva avuto un significato più profondo di quanto avesse mai pensato. E solo allora, mentre guardava fuori dalla finestra, capì.
Era Silente.
E in quel momento, sentì che la sua vita, la sua scrittura, e tutto ciò che aveva creato avevano finalmente trovato il loro posto.
La sua creazione, Harry, Silente, Voldemort... erano diventati parte di lei. Ma ora, finalmente, sapeva che la domanda non era mai stata perché. Era stata sempre come.
E il come era sempre stato una parte di lei stessa.