Era una serata come tante altre, una di quelle che Sirius Black amava. La città di Londra sembrava respirare con lui mentre percorreva le strade, senza una meta precisa, ma con una voglia di libertà che lo rendeva invincibile. Si trovava in un angolo meno conosciuto, nascosto dalla frenesia del mondo magico, nel cuore del quartiere più mondano della capitale. Nessuna ombra di pericolo, nessun oscuro mago in vista. Solo il suono dei tacchi che echeggiava sui marciapiedi e il brillio delle luci lontane che riflettevano sulla sua moto, una vecchia Harley-Davidson che aveva rubato a un babbano anni prima. Non c'era posto migliore per sentirsi vivo.
Sirius si guardò intorno con uno sguardo di sfida. A Londra non doveva temere nulla. Si sentiva fuori dalla portata di Voldemort, fuori dalla portata di tutti. La guerra c'era, ma era lontana, troppo lontana da questi angoli di strada, dove la notte era giovane e piena di promesse. Nonostante la sua posizione di membro dell'Ordine della Fenice, la sua vita non si limitava a spiare, combattere o preoccuparsi di un futuro che sembrava destinato a crollare. Lui viveva. E viveva come se ogni giorno fosse un atto di ribellione contro il destino che gli era stato imposto.
Si fermò davanti a un club. Un locale di tendenza dove i babbani si mescolavano, ignari del fatto che uno degli uomini più famosi del mondo magico camminava tra di loro, libero come un qualsiasi altro individuo. Appoggiò la moto e entrò.
Il locale era affollato, la musica pomposa riempiva l'aria. Tra risate, bicchieri tintinnanti e luci soffuse, Sirius si fece strada tra la folla, accogliendo con il suo solito sorriso di sfida gli sguardi delle donne che lo fissavano. Era un uomo dalla bellezza magnetica, con i capelli neri e ribelli, gli occhi che scintillavano di una vita vissuta senza paura. Sapeva che ogni passo che faceva lo portava più vicino a un altro incontro, più vicino alla possibilità di un'avventura, come se la sua esistenza fosse un susseguirsi di piccoli momenti da catturare.
Dopo aver scambiato qualche parola con un paio di vecchi amici babbani, Sirius si avvicinò al bancone e ordinò una birra. Si sentiva a casa. Un angolo nascosto di Londra, un club che non aveva nulla a che fare con il mondo magico. In quel luogo, Sirius non era il cugino di Bellatrix Lestrange, non era l’uomo legato al nome Black. Era solo un uomo, senza legami, senza obblighi, che voleva dimenticare la guerra magica, almeno per qualche ora.
Una donna si avvicinò al bancone. Magra, elegante, con capelli biondi raccolti in un'acconciatura sofisticata. Le sue labbra, dipinte di un rosso audace, si curvarono in un sorriso intrigante.
"Sirius Black, giusto?" disse lei con un tono che mescolava curiosità e divertimento.
Lui sollevò lo sguardo, un sorriso malizioso sul volto. "Dipende da chi chiede."
"Ho sentito molte cose su di te," rispose la donna, "Ma non sono qui per ascoltare storie. Sono qui per conoscerti."
Sirius si lasciò andare, un po' sorpreso, ma anche divertito. "E tu chi saresti, misteriosa sconosciuta?"
"Un'amicizia che potrebbe rivelarsi interessante," rispose lei, mentre si avvicinava ancora di più, la voce che diventava un sussurro. "Voglio sapere quanto tu sia diverso da ciò che dicono."
"Credimi," rispose Sirius con un sorriso sprezzante, "se ti racconto tutto, finirai per scappare."
La donna rise, un suono dolce ma intrigante. "Non credo. Voglio proprio vedere dove mi porterà questa storia."
Sirius la osservò con attenzione. C'era qualcosa in lei che non riusciva a decifrare subito. Quella sicurezza, quella sfida nei suoi occhi azzurri, sembravano nascondere qualcosa. Si inclinò leggermente verso di lei, giocando con la tensione del momento.
"Allora," disse lui, "cosa ti interessa di me?"
"Di te?" la donna sorrise di nuovo. "Cosa mi interessa di te... Direi tutto."
C'era un'ironia in quello che aveva detto, ma Sirius, come al solito, non riusciva a fare a meno di essere affascinato da ogni nuova sfida. La notte era giovane, e lui era pronto ad affrontarla. Si avvicinò ancora di più, cercando di rimanere sul filo del rasoio, ma la donna non sembrava averne abbastanza. In effetti, sembrava divertirsi ancora di più.
"Allora dimmi, Sirius Black," continuò lei, il suo sorriso diventando più enigmatico, "quale parte di te è più interessante? L'amante, il ribelle, o il mago potente che tutti temono?"
Sirius la fissò negli occhi, studiando ogni parola, ogni movimento. L'aria tra loro era tesa, ma non in modo negativo; era elettrica, come se ogni frase fosse un nuovo passo verso qualcosa di ignoto. Ma a un tratto, la donna cambiò tono, il sorriso svanì, e la sua voce divenne più bassa, più seria.
"Sai," disse con un accento che si fece più profondo, "ci sono cose che nascondi anche a te stesso. Come tutti quelli che vivono così, in fuga dal loro destino."
Sirius si irrigidì. Qualcosa cambiò in lui, come se una porta fosse stata aperta che non avrebbe voluto vedere. La donna, notando il suo cambiamento, si fece più vicina, ma non per provocarlo. La sua voce ora aveva una sfumatura di tristezza che non aveva mai visto in qualcuno che sembrava così sicuro di sé.
"Non pensi che alla fine dovrai fare i conti con quello che sei?" chiese, il suo sguardo fisso su di lui. "Non credi che ci sia qualcosa, lì dentro, che ti spaventa?"
Sirius si alzò bruscamente, senza nemmeno rispondere. La sensazione che quella donna avesse capito qualcosa di troppo lo fece agitare. Si allontanò rapidamente, ma non senza un'ultima occhiata al suo viso, che ora sembrava misterioso come un enigma irrisolvibile. Era chiaro che qualcosa dentro di lui aveva scosso le sue fondamenta. Si era sentito vulnerabile, ed era una sensazione che non sopportava.
"Ci vediamo," disse con un sorriso forzato, uscendo dal locale. Ma nel suo cuore, qualcosa stava cambiando. Non era solo la donna a essere misteriosa. Anche lui lo era, ma forse non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontare davvero se stesso.
Mentre si allontanava, la moto rombò sotto di lui. Sirius accelerò, ma il pensiero di quelle parole non lo lasciava più.
"Ci sono cose che nascondi anche a te stesso."
Era più che un avvertimento. Era una sfida.
Sirius aveva deciso di non rifletterci, di non guardarsi mai indietro. Ma quella notte, qualcosa aveva scosso la sua sicurezza. E non era la moto, né il club affollato. Era quella donna, che sembrava sapere più di lui su chi fosse veramente.
E lui, per la prima volta, si chiese se avesse davvero il coraggio di affrontare la verità.
Il silenzio era opprimente, come una coperta nera che avvolgeva tutto e nessuno. Non c'erano suoni. Non c'era luce. Solo l'umidità fredda che penetrava nella pelle e nel cuore di Sirius Black. Le pareti di Azkaban, le antiche e fredde mura della prigione che ormai aveva imparato a conoscere come il palmo della sua mano, lo circondavano. Erano più di mura: erano il suo mondo, il suo confine. Dodici anni. Dodici lunghi anni senza un suono umano, senza un respiro. Dodici anni passati a camminare in una solitudine che aveva smembrato ogni pensiero razionale.
Il respiro dei Dissennatori era quello che più lo tormentava. Nessuna creatura era più devastante della loro presenza. Il loro respiro ghiacciato che svuotava ogni emozione, ogni ricordo, ogni speranza. Ogni volta che passavano, Sirius sentiva l'anima morire un po'. Sentiva il peso del suo crimine, la morte di Minus, di James e Lily… Ma lui non l'aveva fatto. Lui non li aveva traditi. Eppure, ogni volta che il dolore lo colpiva, la verità sembrava sfuggirgli, come sabbia tra le dita.
“Non posso arrendermi,” pensava ripetutamente, come un mantra. Eppure, ogni volta che si ripeteva quelle parole, un nuovo strato di rassegnazione sembrava poggiarsi su di lui. La paura che il suo cuore fosse vuoto come i corridoi di Azkaban cresceva di giorno in giorno.
I Dissennatori passavano senza fermarsi mai. Ma la loro presenza era costante, come un’ombra che non lo lasciava mai, pronta a soffocarlo. La loro magia non agiva solo sul corpo, ma anche sulla mente. Estraggono i ricordi più dolorosi, spingendoti a rivivere le tue peggiori colpe, a vedere l'orrore della tua condanna. Ma Sirius non cedeva. Non poteva.
Ogni notte, quando i barlumi di luci strane filtravano dalle fessure della cella, cercava di pensare a qualcosa di positivo, a qualsiasi cosa che potesse mantenerlo lucido. Il ricordo di James, del suo sorriso, della loro amicizia. L'immagine di Harry, il bambino che non aveva mai voluto tradire, che adesso gli era stato sottratto. Ma più pensava a loro, più il dolore lo consumava.
Il sangue che gli scorreva nelle vene si faceva sempre più gelido. I dissennatori non facevano altro che tirarlo nel loro abisso. La disperazione gli arrampicava le viscere, ma dentro di sé sapeva che non poteva lasciarsi vincere. Non doveva.
Con gli occhi che non si chiudevano mai, notti intere passavano a fissare il soffitto della sua cella, cercando di non soccombere. Non avrebbe lasciato che la solitudine, il gelo, e quella maledetta prigione lo spezzassero. Se avesse dovuto morire, sarebbe stato in piedi, pronto a combattere. Ma sarebbe sopravvissuto. Non per lui, ma per James, Lily e Harry.
Ogni volta che pensava alla loro morte, qualcosa dentro di lui si spezzava, ma quel dolore lo galvanizzava. Non era una condanna. Era una sfida. Una sfida contro il buio che cercava di avvolgerlo, contro quei mostri che volevano divorarlo. Se avesse ceduto, sarebbe morto, ma se avesse resistito, sarebbe stato più forte.
“Non perderò la mia mente,” mormorava a bassa voce, come per darsi forza. Eppure, i Dissennatori sapevano come scalfire ogni sua resistenza, scavare sempre più a fondo.
Ogni giorno, una parte di lui sembrava scivolare via, come se il vuoto si stesse espandendo dentro di lui. Ma non era ancora il momento di arrendersi. Non lo sarebbe mai stato.
"Se non posso avere la libertà, allora mi prenderò la mia dignità."
Perché Sirius Black non era uno che si arrendeva. Non lo era mai stato. Non lo sarebbe mai stato. Anche in prigione, con i Dissennatori pronti a divorare il suo cuore, la sua mente, e la sua anima, c'era una piccola scintilla di speranza che non avrebbe mai permesso di spegnersi. Finché non fosse stato il suo ultimo respiro, Sirius Black non sarebbe stato mai veramente prigioniero.
Il colpo lo aveva spinto all'indietro con una violenza inspiegabile, e tutto ciò che Sirius Black ricordava prima di cadere era il riso isterico di Bellatrix che risuonava nella stanza, quel suono tagliente che lo aveva seguito nell'ombra. Aveva sentito una strana sensazione di freddezza, una distanza crescente dal mondo reale, come se la stanza stessa fosse scivolata via e lui fosse stato spinto oltre, attraverso un confine invisibile.
Ora si trovava in uno spazio indefinito, sospeso tra il buio e una luce pallida, fioca, distante. Non c'era nessun pavimento sotto i suoi piedi, né pareti attorno a lui. Sentiva il suo corpo, ma non sapeva se lo stesse effettivamente toccando. Aveva la strana impressione di non avere peso, eppure la gravità sembrava ancora esercitare una forza su di lui, come se fosse attratto verso il centro di un vuoto infinito.
"Sono morto?", mormorò Sirius a se stesso, incapace di sapere se aveva parlato ad alta voce o solo nella sua mente. Il silenzio era assoluto, così denso che ogni suo pensiero sembrava rimbombare in quell'oscurità sconfinata.
All'improvviso, sentì un fruscio, leggero e distante, come un soffio di vento che si avvicinava lentamente. Si voltò, anche se in realtà non c'era nessun "davanti" o "dietro". Poi vide una figura apparire nella penombra, una presenza eterea, quasi evanescente, ma che emanava una luce calma e familiare. Era alta e silenziosa, e Sirius poté distinguere un sorriso gentile e occhi scintillanti.
"Felpato."
Era una voce che conosceva bene, calda e serena, la voce di James Potter.
"James... Sei tu?", sussurrò Sirius, sentendo la propria voce tremare.
James annuì con un sorriso leggero, avvicinandosi a lui. "È strano, vero? Quel che c'è oltre il Velo non è proprio come lo immaginavamo, vecchio amico."
Sirius era immobile, lo sguardo fisso sull'amico che non vedeva da così tanti anni. Una marea di emozioni lo invase: gioia, dolore, sollievo, confusione. "Ma... allora sei davvero qui? E io... sono morto?"
"Non nel modo in cui pensi," rispose James. "Questo luogo... è un passaggio. Una dimensione tra la vita e l'eternità. Non è né il mondo dei vivi né l'aldilà. È... il confine, potremmo dire."
"Un confine," ripeté Sirius, cercando di comprendere quelle parole. Sentì un senso di smarrimento, ma allo stesso tempo di profonda pace. "E che cosa significa? Che cosa siamo diventati, allora?"
James sospirò leggermente. "Qui, siamo ombre della vita che abbiamo lasciato, memorie incarnate. Qui, ci ricordiamo di ciò che eravamo e, in qualche modo, rimaniamo fedeli a quei ricordi. Ma non siamo più del tutto noi. Siamo... liberi, Sirius."
"Libero..." Sirius pronunciò quella parola con una calma inaspettata, lasciando che il suo significato lo attraversasse come una fiamma. "E allora cosa succede? Restiamo qui, sospesi per sempre?"
"No," rispose una nuova voce, profonda e avvolgente. Sirius si girò e vide un'altra figura, una donna anziana con un'espressione ferma ma gentile. Era Priscilla Corvonero, una delle fondatrici di Hogwarts, come lui stesso avrebbe presto compreso. "Questo luogo è un passaggio, Sirius. Non è una fine, ma una transizione. Qui le anime decidono di continuare, di abbandonare i legami con il passato o, se lo desiderano, possono osservare ancora i propri cari, senza interferire."
"Osservare?", chiese Sirius, incerto.
"Sì," spiegò Priscilla. "Puoi rimanere legato alla tua memoria, al tuo dolore, o scegliere di liberarti, di continuare oltre. Ma qualunque scelta farai, ricorda che, una volta oltrepassato il confine, non vi sarà ritorno."
Sirius rimase in silenzio, riflettendo. Pensò ad Harry, a Remus, a tutti gli amici che aveva lasciato indietro. Era pronto a lasciarli? A proseguire senza più quella scintilla di ribellione e amore che lo legava ancora a loro?
E allora fece la sua scelta.
"Sono pronto a restare ancora un po'," disse infine, con un lieve sorriso. "Non ho mai sopportato le autorità, nemmeno l'idea di un aldilà perfetto. Resterò qui... per Harry, per tutto quello che ancora ha da affrontare."
James sorrise, colmo di comprensione, e appoggiò una mano sulla sua spalla. "Allora siamo in due, vecchio amico."
Priscilla annuì, con uno sguardo di saggezza e approvazione. "Allora rimarrete legati, non come spiriti, ma come memorie viventi, leggende del mondo dei vivi. Harry vi sentirà, nei momenti di bisogno. Voi sarete il vento che sussurra il coraggio nelle sue orecchie."
E così, mentre il tempo scorreva in quel luogo indefinito, Sirius e James decisero di rimanere, come un eco lontano, un ricordo ardente e ribelle pronto a spingersi oltre, per Harry e per tutto ciò che avevano amato.