Era una notte oscura e fredda. Voldemort, nella sua solitaria dimora, si era ritirato in una stanza deserta, lontano da occhi indiscreti. La sua mente era preoccupata, per nulla turbata da emozioni comuni come paura o dolore, ma da un'inquietudine che non riusciva a placare. La sua brama di potere e immortalità lo aveva portato fino a quel punto, ma c’era qualcosa che ancora non riusciva a dominare completamente. Forse non era mai stato davvero al di sopra di tutto, non completamente, non come avrebbe voluto.
Mentre si trovava nella sua oscurità, una sensazione strana lo colpì. Un senso di vertigine, di smarrimento. La realtà cominciò a sfumare attorno a lui, le pareti della stanza sembravano distorcersi, come se qualcosa stesse lacerando il velo tra il mondo dei vivi e una dimensione parallela. Voldemort cercò di resistere, ma la sua volontà non era sufficiente a fermare ciò che stava accadendo. Un vortice di luci e ombre lo inghiottì, trascinandolo via.
Non fu un sogno, eppure non fu nemmeno la realtà. Quando Voldemort aprì gli occhi, si trovò in un luogo sconosciuto. Non c'erano pareti, né cielo, né terra. Solo un vuoto cosmico, uno spazio infinito, dove la gravità sembrava non esistere. Tutto intorno a lui era un universo in espansione, fatto di luci sfocate e ombre danzanti. Ogni cosa sembrava suggerire una presenza invisibile, come se il luogo stesso fosse una manifestazione di pensieri, idee e, soprattutto, emozioni.
In mezzo a questa distesa immensa, una figura emerse dalla nebbia cosmica. Voldemort la osservò con diffidenza. Era una donna, di aspetto umano ma allo stesso tempo distante, come se appartenesse a un altro piano esistenziale. La sua figura era incerta, ma la sua presenza era potente. Lei non era mai stata lì, eppure lui lo sapeva. Sapeva chi era.
"Tu… sei la creatrice," disse Voldemort, la voce fredda e tagliente. "La scrittrice."
La donna non rispose immediatamente, ma il suo sorriso accennò a una lieve comprensione. "Sì," disse infine, "sono quella che ha creato questo mondo. Ma tu non sei qui per incontrare me, Tom."
Voldemort strinse i pugni. "Non hai idea di cosa io sia capace. Il tuo mondo non è altro che una mera illusione. L'amore, la compassione, la speranza… sono tutte debolezze. La mia potenza è assoluta. Io sono l'unico che ha visto la verità."
La donna lo osservò con una calma quasi inquietante. "Tu pensi di conoscere la verità," disse dolcemente, "ma quello che non hai mai compreso è che anche il male ha un'origine, una causa. È come l'amore, Tom. È una forza potente, ma non è l'unica."
Voldemort rise, un suono che riecheggiò nel vuoto. "Le tue parole sono inutili. Non credo nella debolezza dell'amore, né nella sua 'forza'. L'unica cosa che conta è il potere, il dominio su tutto e su tutti. Solo così si può vivere davvero."
La donna lo guardò intensamente. "Ma cosa accade quando il potere che possiedi è vuoto? Cosa succede quando ti accorgi che ogni morte che hai causato, ogni tortura che hai inflitto, non ti ha portato mai più vicino alla pace che cerchi, ma solo più lontano?"
"Non capisci!" urlò Voldemort, la rabbia che cominciava a farsi sentire nel suo tono. "Il mondo è debole, e l'umanità è fallace. Solo quelli come me possono governare. Solo quelli come me possono vedere oltre."
La donna fece un passo avanti. "Tu pensi di essere al di sopra di tutto. Pensi che la morte sia la risposta, ma in realtà hai paura di essa. Hai paura dell'amore, che è la vera forza che ti sfugge."
Voldemort la ignorò, guardando con disprezzo la donna. "Tu non sei altro che una scrittrice. Tu hai creato i miei nemici, i miei rivali. Non sei altro che una figura di fantasia."
"Ed è proprio per questo che non puoi comprendere," rispose lei, "perché la fantasia non è mai stata separata dalla realtà. Solo chi ha il cuore chiuso all'amore non vede la verità."
La scena si distorse e cominciò a dissolversi mentre Voldemort si rialzava, furioso. "Io non sono più il ragazzo che temeva la morte. Io sono l'unico che può dominare il destino di tutti. Nessuno mi impedirà di realizzare ciò che ho in mente. Niente può fermarmi."
La figura della donna svanì lentamente, e Voldemort tornò alla realtà, al suo regno oscuro. Rimasero solo i suoi pensieri: la rabbia, la frustrazione, il rifiuto di ciò che non poteva comprendere. Non avrebbe mai ceduto, non avrebbe mai accettato di piegarsi a qualcosa che non fosse il potere assoluto.
La visione che aveva avuto gli aveva solo confermato una cosa: avrebbe dominato il mondo con il suo potere e il suo odio. E l’amore? Non era altro che una debolezza da distruggere.
La stanza era silenziosa, avvolta dall'oscurità di una notte che sembrava non voler finire mai. Joanne si svegliò di soprassalto, il cuore che le batteva forte, come se un pericolo invisibile l'avesse stretta in una morsa. Le mani sudate, il respiro affannoso. Il sogno… o quello che aveva vissuto, era ancora lì, vivido nella sua mente.
"Voldemort…" sussurrò, come se avesse paura che quel nome potesse evocare di nuovo la sua presenza. Si alzò lentamente, le gambe stanche, ancora intorpidite dall'incubo. Ma la sensazione di terrore non la lasciava. Quella voce, quel volto, quel potere oscuro che aveva incontrato nel sogno. Non era solo un personaggio. Non era solo una creazione letteraria… Il pensiero la scosse come un colpo di vento gelido.
Voldemort le aveva parlato in modo così diretto, così affilato, da sembrare impossibile che fosse il frutto della sua fantasia. “Tu mi hai creato per non amarmi. Ma la tua creazione è ciò che mi ha dato forma, ciò che mi ha dato uno scopo.”
In un angolo della sua mente, la consapevolezza si stava facendo largo, ma la verità sembrava ancora troppo per essere afferrata completamente. Per tutta la sua carriera, Joanne aveva visto Voldemort come il simbolo del male, il nemico definitivo di Harry. Ma ora, dopo quell’incontro, quel male le appariva diverso. Non era solo una figura da combattere; era una creazione che l’aveva completamente sopraffatta. Le era sfuggito di mano, proprio come Harry, ma in modo più sinistro.
“Cosa ho fatto?” sussurrò, il volto pallido e teso. Il pensiero che le aveva dato Voldemort continuava a risuonare dentro di lei. “Mi hai dato la vita. Ma non la tua. La vita della paura. La vita dell’odio.”
Era come se avesse toccato qualcosa di antico e profondo, qualcosa che non poteva più ignorare. Voldemort non era solo un personaggio creato dalla sua penna. Era qualcosa di più, un essere che esisteva al di fuori di lei, che aveva preso vita con ogni parola scritta. Era il male, sì, ma anche qualcosa di diverso: una forza che la superava, che si nutriva di paura e sofferenza, un’entità che lei, senza volerlo, aveva liberato nel mondo.
La scrittrice si passò una mano sulla fronte, cercando di scacciare quei pensieri oscuri. Come aveva fatto a non rendersi conto della vera natura di Voldemort? Il pensiero che lui sapesse chi fosse, che fosse consapevole della sua stessa creazione, le provocava un brivido lungo la schiena. “Ti ho creato. Ti ho dato forma. E ora ti vedo per ciò che sei davvero. Non posso ignorarlo più.”
Voldemort le aveva detto di non aver mai voluto essere amato. Ma lei si chiedeva se fosse davvero quello il punto. Non era solo l'amore che lui rifiutava; era la possibilità stessa di una scelta diversa. Lui era un essere che, pur avendo potere e intelligenza, aveva scelto di nutrirsi di odio, di disprezzo per gli altri, di disprezzo per la vita stessa.
"Perché non posso amarti?" mormorò Joanne, sentendo il peso di quella domanda. "Perché ti ho creato così? Perché non ho visto la parte oscura che ti stava prendendo?" La risposta le sfuggiva, ma la consapevolezza del suo errore era chiara: aveva dato vita a una creatura che non solo si nutriva della sua stessa oscurità, ma che la sfidava in ogni momento.
Seduta al suo tavolo, guardò la macchina da scrivere, come se cercasse una via di fuga. Ma non c'era nessun modo per tornare indietro. Le parole che aveva scritto non potevano essere cancellate. E ora, nonostante l’incubo fosse svanito, il peso della sua creazione restava lì, come un'ombra.
"Voldemort…" ripeté, questa volta con un tono che non aveva mai usato prima, come se il nome stesso fosse diventato qualcosa di sacro, di irreversibile. Non riusciva a capire come, ma sapeva che qualcosa era cambiato in lei. Era come se avesse toccato un angolo oscuro della sua stessa anima, qualcosa che non avrebbe mai potuto dimenticare.
Il pensiero di Harry la colpì all’improvviso. Lui aveva affrontato quella paura, quella sofferenza. L’aveva sconfitta, ma a quale prezzo? Harry aveva vissuto nella costante ombra di Voldemort. Era stato il sacrificio di Harry che aveva reso possibile la fine del male, ma che cosa significava davvero quel sacrificio? "Non è solo una storia," si rese conto. "Non sono solo parole. Sono vite. Sono scelte. E quelle scelte restano."
Ma ancora, l’ombra di Voldemort rimaneva. Non c’era una fine semplice per il male che lui rappresentava. E Joanne si trovò a chiedersi, mentre scriveva queste parole, se davvero avrebbe potuto comprendere appieno ciò che aveva creato, o se, forse, Voldemort fosse sempre stato troppo grande, troppo oscuro per essere contenuto in una pagina.
Si fermò, le mani tremanti mentre toccava la tastiera. Cosa avrebbe scritto adesso? Non era più sicura di nulla. Ma una cosa le era chiara: quella consapevolezza non avrebbe mai più lasciato la sua mente. Voldemort non era solo un personaggio. Era la parte più oscura di lei, della sua stessa umanità, e quel male, una volta creato, non sarebbe mai potuto svanire.